25 giugno 1678. Una grande folla si sta radunando nella Cattedrale di Padova.
Circa ventimila persone di ogni ceto sociale e culturale sono giunte per assistere a un evento che si preannuncia epocale: per la prima volta nel mondo, in tempi dove l’analfabetismo fa da padrone, una donna riceverà una laurea.
Si tratta di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia.
Un nome che nel XVII secolo era sinonimo di sapienza, esempio di risolutezza, simbolo di emancipazione femminile; un nome che oggi è drammaticamente caduto nel dimenticatoio.
Nata nel 1646 dalla relazione di Giovan Battista Cornaro Piscopia con la sua amante, una donna di umili origini sposata nello scandalo solo otto anni più tardi, Elena crebbe in una famiglia blasonata dell’allora Repubblica di Venezia.
I Cornaro Piscopia da qualche tempo non ricoprivano più cariche magistratuali ma conservavano un nome antico e importante tanto nel patriziato quanto negli ambienti culturali; si dice che il nonno Alvise fosse stato intimo amico di Galileo Galilei e avesse conosciuto personaggi celebri come Torquato Tasso e il Cardinale Bellarmino (famoso teologo che intervenne nei processi a Giordano Bruno, Campanella e Galilei, ndr).
Elena non si discostò tanto da quell’eredità familiare.
Fin da subito si dimostrò come un enfant prodige tant’è che il padre, anch’egli fiero cultore delle arti, decise di sfidare il sistema dell’epoca e farla studiare.
Puro orgoglio paterno? O semplice speranza di accrescere le sorti della famiglia?
Certo è che Giovan Battista reclutò per la figlia i migliori maestri e in poco tempo Elena riuscì a padroneggiare la matematica, l’astronomia, la filosofia, la teologia, la musica, l’eloquenza, la dialettica, la poesia oltre che il latino, il greco, l’ebraico, l’aramaico, lo spagnolo, il francese, l’arabo e l’inglese.
Ma Elena non coltivò solo l’amore per il sapere.
Fin da piccola maturò infatti una forte vocazione religiosa che la portò appena undicenne a fare voto di castità per poi diventare oblata benedettina.
Una scelta che, consentendole di continuare a vivere in casa, ben le permetteva di coniugare l’amore per lo studio con la fede.
Il religioso Bacchini, suo contemporaneo, scrisse anni dopo che “chiunque parlava con lei ne restava ammirato e preso da rispetto. Aveva ingegno versatile, prontissimo nell’apprendere e tenace a ritenere a memoria. Temperamento calmo, moderato e benevolo, si dedicava a tutto ciò che era conforme all’onestà, la giustizia e il decoro, senza mai pensare neppure minimamente a cose men che dignitose e nobili per una ragazza” .
Le inclinazioni di Elena erano così prodigiose che il suo maestro di filosofia, Carlo Rinaldini, suggerì di proporre al Sacro Collegio dell’Università di Padova, dove egli stesso insegnava, il conferimento di una laurea in teologia alla ragazza.
Una richiesta certamente audace e all’avanguardia quella d’insignire una donna di un titolo così prestigioso soprattutto in un campo peculiare come la teologia.
Era perciò necessario muoversi cautamente nel dare una risposta; infatti il cancelliere vicario dell’ateneo, benché favorevole, decise di agire prudentemente e di consultare il Cardinale Gregorio Giovanni Gaspare Barbarigo, Vescovo di Padova.
La doccia fredda era dietro l’angolo.
Il prelato si oppose con fermezza reputando la richiesta insolente e sfrontata: la teologia doveva rimanere una disciplina esclusivamente maschile e mai una donna avrebbe dovuto insegnarla.
La situazione sembrava irrecuperabile ma la famiglia Piscopia e Carlo Rinaldini decisero di non demordere e proposero un escamotage: modificare la domanda iniziale convertendo la materia da teologia a filosofia.
Senza più nessun ostacolo, l’Università diede il via libera e iniziarono le procedure burocratiche.
La mattina del 25 giugno 1678 accorse così tanta gente che fu necessario spostare la discussione nella Cattedrale; erano presenti il podestà, il capitano, il vicario dell’Università, nobili, scienziati, dotti e gente comune incuriosita da un fatto mai avvenuto prima.
Un lungo corteo con musiche e cori accompagnò Elena davanti alla Commissione che la interrogò su alcuni passi di Aristotele estratti a sorte.
La candidata incantò i presenti con una magistrale spiegazione in latino talmente ammirevole che gli esaminatori la proclamarono per acclamazione “Magistra et Doctrix in philosophia” e le consegnarono le relative insegne: il libro, l’anello, il manto di ermellino e la corona d’alloro.
La sua fama si estese rapidamente rimbalzando fra le varie città. Si era verificato un evento unico!
Subito dopo Elena decise di trasferirsi a Padova e, pur non avendo il permesso di insegnare, fu ammessa in diverse Accademie prestigiose.
Il suo nome era così conosciuto da affascinare studiosi stranieri e persino il re di Francia: tutti erano impressionati non solo dalla profonda cultura della donna ma soprattutto dal suo animo umile e cordiale.
Elena aveva trentadue anni il giorno della laurea, morì solo sei anni dopo, a causa di un fisico fortemente debilitato, e venne sepolta nella Chiesa di Santa Giustina a Padova.
Tanto lodata e celebrata fra i suoi contemporanei quanto ignorata dai posteri.
Eppure quella di Elena fu una vita di coraggio, ingegno e devozione.
Molte donne dopo di lei tenteranno la medesima strada senza raggiungere i risultati sperati; occorrerà aspettare il 1732 per vedere Laura Bassi ottenere una laurea e una cattedra universitaria.
E’ vero, Elena fu solo uno spiraglio ma fu abbastanza tenace da avere il merito di dimostrare che l’Università non era un appannaggio solo maschile e che anche le donne avrebbero potuto conseguire gradi accademici influenti.
La storia dimostra ancora oggi come in alcuni paesi sia difficile per le donne ottenere il diritto all’istruzione.
E’ perciò un nostro dovere rispolverare una gloria nazionale e ridare l’antico splendore a quelle figlie, sorelle, mamme e mogli che in ogni epoca hanno avuto il valore e l’audacia di ostacolare un mondo dove tutto sembrava già scritto e che invece tanto aveva ancora da imparare.
Come quel 25 giugno 1678 quando il mondo si accorse per la prima volta che dietro una piccola donna può esserci molto di più. C’è molto di più.
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