Chiuse le urne ecco i risultati. Prima di tutto l’affluenza, clamorosamente bassa, sotto il 40% in Emilia Romagna e appena un pò più alta Calabria. Il PD vince in tutte e due, qualcuno già afferma che è la vittoria di Matteo Renzi.
L’astensione prevista è facile commentarla i cittadini ormai non vedono più la politica come elemento fondamentale per la gestione della società, dell’economia dello sviluppo. Prevalgono la noia,la delusione il rifiuto. I risultati si dice erano scontati e forse molti non sono andati a votare perché oltre la sfiducia nel sistema hanno considerato il loro voto ininfluente. E comunque in democrazia decide chi vota, e come nel caso di Roma poi non ci si può lamentare se vincono persone incapaci.
Quali sono quindi le indicazioni di queste elezioni?.
Il PD vince ma proprio per l’astensione che oltre tutto avviene in una regione quella dell’Emilia Romagna roccaforte del PD dove si passa da un 53% ad un misero 43%. Il discorso è lo stesso per la Calabria: vittoria scontata il voto alla lista Pd passa però dal 36 (europee sei mesi fa) al 26 (regionali). La lega avanza grazie a Salvini, l’altro Matteo, prendendo il 20% in Emilia Romagna, ovviamente in Calabria la lega non esiste. In Emilia praticamente doppia il vecchio partito di Berlusconi che si ferma al 9%.
L’incognita era cosa avrebbe fatto l’M5S. I pentastellati mantengono le posizioni, aumentando in Emilia, da dove il movimento era iniziato, e solo un 4% in Calabria La coalizione Centrista UDC NCD e vari altri, resta in piedi al sud, ma fallisce miseramente in Emilia Romagna dove non riesce a portare nessun candidato al Consiglio Regionale. Le Regionali non hanno dato indicazioni importanti se non quella di un alto astensionismo, che però riporta in primo piano come la “famosa parola agli elettori” usata come minaccia per le “impasse” di governo non funziona più.
Quello che in Italia non si vuole ancora capire è che le elezioni sono una “verifica” della politica non una semplice trasposizione delle “beghe” interne ai partiti. E’ anche vero che troppi interessi legano i partiti a gruppi di potere, anche economici che hanno usato la politica come strumento “protezionistico” per investimenti o gestioni finanziare “allegre” di cui adesso in una crisi economica galoppante bisogna purtroppo fare i conti.
E in questo scenario che la politica italiana dimostra di non sapersi rinnovare, di non avere strategie, di non sapersi prendere le proprie responsabilità. Il populismo dei partiti come M5S o della Lega fanno breccia nel malcontento, aggregano contestazioni e aspetti di antipolitica, che possono farli salire di qualche piccola percentuale tra l’elettorato. Non funzionano però nel momento delle strategie e delle decisioni.
Il PD ha in Matteo Renzi l’elemento trascinante, anche se al suo interno sembrano essere più quelli che provano a contestarlo che quelli che apertamente lo sostengono. Il rischio è quello delle “congiure” di partito che per interessi di bottega facciano saltare il banco. Forza Italia e partiti satelliti ormai orfani di Berlusconi non riescono a trovare il bandolo della matassa, né un leader, né una strategia politica e gli effetti si vedono. Si attendono le elezioni di primavera, forse le elezioni di un nuovo Presidente della Repubblica, con annesse battaglie intestine tra partiti e di schieramenti, ma se questo è il quadro della situazione c’è poco da sperare in un vero rinnovamento.
di Gianfranco Marullo
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