Si sa che le campagne presidenziali negli Stati Uniti sono una battaglia senza esclusione di colpi: la storia è piena di candidati che si sono dovuti ritirare per motivi non proprio politici: storie extraconiugali, malattie non dichiarate, fondi non proprio specchiati.
La vittoria di Trump un “parvenu” della politica, a detta di molti osservatori, ha gettato in un panico generale l’establishment politico statunitense. Non solo tra i democratici sicuri di vincere le elezioni con Hillary Clinton, ma anche tra di Repubblicani che per lungo tempo hanno osteggiato la candidatura di “The Donald”, tanto da fargli rischiare la conferma a candidato prescelto dal Partito repubblicano alla Convention del 2016.
Dalla sua elezione in poi, si sono scatenate accuse di tutti i tipi, dal sessismo, al razzismo, xenofobia, di usare linguaggio violento, e l’accusa più grave, che la sua vittoria sarebbe stata favorita dai Russi.
Il Russiagate, come lo ha definito la stampa, ha scatenato una complessa rete di sospetti e di accuse incrociate, dimissioni di funzionari, non risparmiando accuse di coinvolgimento ai vertici delle più importanti agenzie di Intelligence, FBI CIA.
Per capire meglio la situazione di Trump va fatta una considerazione importante. Dalla caduta del muro di Berlino nel 1989, due grandi famiglie hanno governato l’America. Quella dei Bush, con due Presidenti e quella dei Clinton, un presidente Bill Clinton, ma anche una moglie Hillary che ha tentato due volte di arrivare alla Presidenza. La prima volta costretta a rinunciare durante le primarie democratiche a favore di Barak Omaba, contro cui non aveva alcuna possibilità, una seconda volta venendo sconfitta da Trump.
Quindi è un establishment dinastico familiare, repubblicano o democratico che dir si voglia, che Trump, con la sua elezione ha messo in crisi.
I suoi nemici lo hanno definito “the barbarian” il barbaro per il suo modo di porsi, e per le sue decisioni improvvise, i suoi sostenitori concordano che solo un “barbaro” poteva prosciugare la “swamp” ovvero la palude di Washington.
Le promesse elettorali di Trump sono state mantenute: riesce a far nominare un candidato repubblicano alla Corte Suprema, abbassamento delle tasse, l’occupazione in aumento, la costruzione del muro ai confini del Messico va avanti, lotta alla globalizzazione con la politica protezionistica dei dazi, e in ultimo la vittoria al WTO contro l’asse franco tedesco per gli aiuti statali alla costruzione del Airbus hanno indubbiamente rafforzato la figura del Presidente.
Quindi al momento Trump guarda le prossime elezioni presidenziali del 2020 da un punto di forza, soprattutto per quanto riguarda possibili “fronde “ nel suo partito.
I tentativi dei democratici di delegittimarlo usando il Russiagate, con l’utilizzo di dossier più o meno credibili, adombrando la possibilità di un “impeachment” non sembrano in grado di colpirlo più di tanto.
Per il momento “The Donald” Trump ha buone possibilità di essere il riconfermato a Presidente degli Stati Uniti, anche perché sul fronte del Partito Democratico non sembra esserci un candidato in grado di contrastarlo.
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