Il “fallo” di Vindolanda, che a prima vista sembrava un aggeggio da cucito o un mortaio, era in realtà un antichissimo sexy toy.
Colte in flagranza di reato
Nel 1992, a Northumberland, al confine tra l’Inghilterra e la Scozia, era stato rinvenuto un misterioso reperto archeologico, risalente a oltre 2.000 anni fa. Scambiato inizialmente per un innocente suppellettile da cucito o un mortaio, si è scoperto in realtà che si trattava di un dildo. Per essere precisi, sarebbe il primo esempio noto di fallo realizzato in legno e recuperato in un insediamento romano.
Caratteristiche del fallo
Il simpatico aggeggio in legno misura 16 centimetri. Una dimensione definita “normale” dagli esperti.
Alcune ipotesi sulla funzione del fallo
Accanto alla spiegazione più hard, c’è chi ipotizza che in realtà l’oggetto potrebbe essere semplicemente un mortaio per macinare ingredienti o cosmetici dalla forma fallica.
La dimensione si prestava in effetti a un facile “maneggiamento”, mentre la forma avrebbe impregnato il cibo o gli ingredienti preparati con proprietà magiche. E poi chissà, le donne potevano trastullarsi con l’arnese dopo le faticose attività.
Uso scaccia sfortuna
Un’altra ipotesi suggerisce che fosse solo un aggeggio apotropaico, utilizzato cioè per scopi scaramantici. Del resto, nell’Antica Roma e non solo, era diffuso fortemente il culto fallico per proteggersi dalla sfortuna. Gli esempi sono innumerevoli: dagli affreschi,(basti pensare a quelli presenti a Pompei) ad altre rappresentazioni effigiate su mosaici, decorazioni o incisioni nella ceramica.
Si realizzavano persino dei piccoli ciondoli fallici da indossare.
Anche in questo caso, la tesi fa acqua da tutte le parti. Gli oggetti scaramantici venivano solitamente indossati oppure posti vicino all’ingresso degli edifici, non certo in mezzo ad altri attrezzi domestici.
L’interpretazione in chiave fallica
Escluse tali tesi, il team ha stabilito che il “pestello” di Vindolanda, sia effettivamente un fallo.
A suggerirlo, l’analisi effettuata sulle estremità dell’aggeggio. Il fatto che fossero molto lisce, indicherebbe un uso prolungato nel tempo, dato da una probabile stimolazione genitale.
Rob Collins, docente senior di archeologia dell’Università di Newcastle, ha detto: ”Devo confessare che una parte di me pensa che sia abbastanza ovvio che si tratti di un pene. Non so chi l’abbia inserito nel catalogo. Forse qualcuno non si sentiva a proprio agio o non pensava che i Romani avrebbero fatto cose così sciocche”.
“Sappiamo però che gli antichi romani così come i greci usavano strumenti sessuali e questo oggetto di Vindolanda potrebbe esserne un raro esempio”.
Un contesto fuorviante
Perché tutta questa confusione circa la “destinazione d’uso”?
L’oggetto, esaminato dai ricercatori dell’Università di Newcastle e dell’University College di Dublino, si trovava in un fosso insieme ad altri oggetti di uso quotidiano.
Accanto a lui erano accatastate decine di scarpe, accessori per abiti, oltre a diversi utensili e prodotti dell’artigianato dell’epoca, come ritagli di cuoio e corna lavorate.
Un contesto sicuramente fuorviante, ma come diceva Giovannino Guareschi “La verità spesso è così semplice ed elementare che appare incredibile”.
Foto di Lars Nissen da Pixabay
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