Da sempre le popolazioni umane, a prescindere dalla collocazione terrestre, pur se unite sotto la stessa bandiera sono di fatto separate per ceti sociali: patrizi e plebei, reali e miserabili, ricchi e poveri, capitalisti e nullatenenti.
Ma mentre i più abbienti a volte con approcci indegni verso gli ultimi risultano essere cinici e intolleranti, i più poveri nonostante l’insicurezza economica e le difficoltà quotidiane che questa produce , si dimostrano spesso ricchi di sentimenti, aperti al prossimo e pieni di vitalità.
La gran parte dei “ricchi”, travolta dall’attaccamento ai beni materiali e da discorsi protratti all’acquisizione di nuove conquiste materiali risulta spesso insoddisfatta e, secondo una ricerca effettuata dalla Princeton University e pubblicata su Science, anche stressata. La conferma che i soldi non portano la felicità e che la mole di idee e di progetti finalizzati al consumismo e all’incremento del patrimonio danneggia il benessere mentale.
Purtroppo, lo stress e la vita frenetica non agevolano nessuno. Tanto che spesso non consideriamo una piaga sociale che imbarbarisce le nostre città: l’indifferenza verso gli ultimi. Infatti ogni centro abitato, chi più chi meno, è popolato anche da povera gente che “alberga” per le strade, sotto i ponti o nelle stazioni ferroviarie. Individui che, a differenza degli agiati, per campare devono far uso quotidiano di mense, di associazioni caritatevoli o della generosità di gente comune di buona volontà.
In Italia, le famiglie che vivono in condizioni di povertà sono il 18,6% (dati Istat al 2010). Il 7,6% di queste è formato da nuclei quasi poveri e l’11% da quelli poveri. Mentre, addirittura il 4,6% di queste stesse famiglie risulta essere in condizioni di povertà assoluta. Praticamente, i più poveri tra i poveri. Famiglie che non riescono nella soddisfazione dei propri bisogni quotidiani (spesa alimentare, spese scolastiche, bollette, assicurazioni, ecc.).
Per non parlare dei poveri non censiti. Di quelli emarginati, discriminati quotidianamente e costretti a mendicare o a frugare nei secchioni dell’immondizia alla “ricerca della felicità”.
Davanti a questi dati spaventosi, noi del ceto medio, quelli che “grazie a Dio andiamo avanti”, non possiamo e non dobbiamo più accettare una società che abbia differenze così nette.
Tuttavia, non si deve confondere l’emarginato col nullafacente e il mendicante con lo sfaticato. I fannulloni che “vivacchiano” sfruttando la carità e i servizi sociali non meritano aiuti materiali.
Il nostro impegno deve rivolgersi ai più bisognosi con azioni di sostegno che non offendano la loro dignità. In questo modo oltre a trasmettere ai più giovani i valori di solidarietà, daremo un senso nobile alla nostra esistenza.
Enzo Di Stasio
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