Fantapolitica pensare che Salvini non volesse andare al voto? Tutti i mass-media hanno inneggiato all’autogol di Salvini. La sua intenzione di “sfiduciare” il governo Conte 1, per poi farsi incoronare dal voto popolare, è stato il presupposto, infatti, di quanto è poi avvenuto. Cioè un governo senza la Lega.
Ancora oggi tutti gli osservatori si chiedono come sia stato possibile un errore politico così macroscopico. I più lo attribuiscono a una presunta e insaziabile sete di potere del milanese. Un’ipotesi che si basa sulla richiesta di “pieni poteri” formulata sui social in quei giorni d’agosto. Magari sotto l’effetto di un’ubriacatura estiva. Noi, come spesso accade, abbiamo un diverso parere.
L’esperienza ci ha abituato ad andare molto cauti nel formulare giudizi politici. Matteo Salvini ha condotto il suo partito da un misero 4% ad oltre il 30% dei consensi degli italiani. Strappando la leadership del centrodestra ad un personaggio come Berlusconi. Un leader politico come lui ha ben altro spessore dell’inesperto terzino che infila per sbaglio la rete della propria squadra. Abbiamo allora ripercorso tutta la vicenda estiva e ci siamo fatti la nostra opinione. Che è ben diversa da quella della quasi totalità dei nostri colleghi.
Ipotizzare un accordo sotterraneo Salvini-Di Maio non è fantapolitica
A nostro parere, l’intenzione di Matteo Salvini era solo quella di far fuori Giuseppe Conte. Poi, ricomporre la vecchia maggioranza senza andare a elezioni. Le mosse del Presidente del Consiglio a Bruxelles, per scongiurare la procedura di infrazione, avevano tracciato tra i due un solco incolmabile. In una recente intervista, il leghista Romeo ha dichiarato che Salvini fosse sicuro che Conte e Tria si fossero accordati con la Ue per una manovra 2020 all’1,8-1,9 di deficit.
Ciò avrebbe reso impossibile l’applicazione della flat tax, cavallo di battaglia della Lega per i prossimi mesi e il prosieguo di quota 100. Ma anche un rifinanziamento decente del reddito di cittadinanza, tanto caro a Di Maio. Così come la sterilizzazione dell’aumento dell’IVA, previsto nel contratto di governo. Una convergenza tra Salvini e Di Maio per quanto riguarda il dissenso delle politiche economiche perseguite da Conte di fronte all’Europa è, perciò, un dato oggettivo. Al ritorno di Conte da Bruxelles, i nodi sono venuti al pettine.
L’8 agosto, Salvini comunica a Conte l’intenzione di “sfiduciare” il suo governo. In realtà a Salvini basterebbe ritirare la delegazione della Lega perché le dimissioni di Conte divengano automatiche. La mozione di sfiducia di Salvini giunge soltanto il giorno dopo. Tra i due eventi, un colloquio di un’ora di Giuseppe Conte al Quirinale. Al termine, i media diffusero l’esigenza del Presidente Mattarella di “parlamentarizzazione” della crisi prima di procedere allo scioglimento delle Camere.
Salvini ci casca con tutte le scarpe. Presenta al Senato la sua mozione di sfiducia a Conte. Ciò implica la caduta del governo in carica. Ma non la possibilità di ricomporre una nuova compagine governativa con la stessa maggioranza M5S-Lega. Nel frattempo, il tanto celebrato intervento di Renzi a lanciare la possibile maggioranza PD-M5S ed altri. Ma dietro a Matteo Renzi, a nostro parere, c’è Mattarella. Il Presidente, infatti, deve al fiorentino la sua elezione al Quirinale.
Gli interessi anti-Conte di Salvini e Di Maio erano convergenti
Fantapolitica? Non proprio. Tutti hanno ritenuto che Salvini puntasse alle elezioni per “capitalizzare” il consenso ottenuto alle europee. Ma – si badi bene – Salvini non è mai sembrato entusiasta di ricomporre la coalizione di centro-destra con Berlusconi e la Meloni. Uno strano comportamento per chi vuole andare al voto per vincere. In realtà, la “finestra” elettorale si era già chiusa da un pezzo. Il motivo della crisi era la necessità di stilare una finanziaria 2020 più espansiva di quanto concordato da Conte con l’Europa. Ma la “parlamentarizzazione” della crisi, voluta dall’ex democristiano Mattarella, sarebbe potuta durare sine die.
Sull’altra sponda, poi, c’era un altro personaggio che aveva interessi anti-Conte e da sempre predicava la necessità di una finanziaria in deficit: Luigi Di Maio. Un personaggio con il quale Salvini condivideva l’avversione per le OnG e non aveva alcun interesse ad andare ad elezioni anticipate. Altrimenti il M5S si sarebbe ridotto a un quarto. E allora perché andare ad elezioni? Infatti, Salvini ha subito fatto marcia indietro, ritirando la mozione di sfiducia. Nei giorni successivi, nuovo presunto voltafaccia di Salvini. La Lega è pronta a proseguire l’esperienza governativa con il M5S.
Sulla stampa si è letto che, dopo il duro discorso di Giuseppe Conte del 20 agosto al Senato, la frittata, per Salvini, ormai era fatta. Non è così. Osserviamo attentamente le successive mosse di Di Maio. Il 22 agosto, dopo l’udienza al Quirinale, Di Maio legge 10 punti irrinunciabili per la formazione del nuovo governo. Non rinnega il passato e non cita in nessun caso il PD.
Dopo pochi minuti, il Presidente Mattarella esce dal suo ufficio molto contrariato e comunica alla stampa di non aver rilevato, tra M5S e PD una attendibile volontà di accordarsi. Concede ai partiti un altra settimana, prima di procedere “a quanto di conseguenza”. Il Presidente ventila che esiste anche la possibilità di un ritorno alla precedente maggioranza. Si parla della “politica dei due forni” di Di Maio.
L’offerta di Salvini della Presidenza del Consiglio a Di Maio è realtà, non fantapolitica
Il 23 agosto, il “garante”del M5S, Beppe Grillo scrive un post pronunciandosi per un nuovo incarico a Giuseppe Conte. Perché mai, dopo anni, è proprio Beppe Grillo a pronunciarsi in tal senso? Se 2+2 fa 4 ciò significa che il “capo politico” Di Maio non era intenzionato a puntare su Conte. E’ però costretto a comunicare al PD l’indicazione del premier dimissionario quale successore di se stesso per una nuova maggioranza. A questo punto, Salvini offre a Di Maio la Presidenza del Consiglio di un governo Lega-M5S. Il messaggio pro Conte e pro PD di Grillo su Facebook lo aveva prevenuto.
Nel frattempo, i colloqui tra M5S e PD proseguono e sembrano destinati a buon fine. Mattarella recepisce l’indicazione congiunta dei due partiti e affida a Giuseppe Conte l’incarico di formare un nuovo governo. Ma Di Maio non demorde. Il 30 agosto replica il precedente ultimatum al PD, con l’unica differenza che, ora, i punti sono diventati 20.
Va dato atto a Zingaretti di aver mantenuto i nervi saldi, dopo il secondo ultimatum. Per smuovere definitivamente Di Maio verso un governo con il PD, tuttavia, è stato necessario un terzo intervento di Beppe Grillo. Il 31 agosto, alla base, il garante ha detto: “Basta parlare di posti, di 10 punti e di 20 punti”. Di Maio, tuttavia, getta sul tavolo la sua ultima carta: la “piattaforma Rousseau”. Se gli iscritti non approveranno il nuovo governo, si sarebbe tornati al punto di prima.
La piattaforma, dopo un discorso ad hoc dello stesso Conte agli attivisti del partito, ha certificato che la stragrande maggioranza degli iscritti del partito non è più sulle posizioni di Di Maio. Poi, la “mossa” di Franceschini, alias Zingaretti, di rinunciare alla vice-presidenza del Consiglio costringe Di Maio a far un altro passo indietro.
Infine, è anche “intrappolato” nell’incarico di Ministro degli Esteri, grazie all’apparente passo indietro di Orlando. Indubbiamente di prestigio. Ma che, dopo l’endorsement internazionale ottenuto da Conte, sarà esclusivamente rappresentativo. Così, dopo soli 15 giorni di crisi, è nato il governo Conte 2.
Non è, quindi, fantapolitica, ipotizzare che il clamoroso autogol di Salvini sia stata la sconfitta di un piano politico, non una ubriacatura di mojito. Un piano, se non concertato, quanto meno convergente con quello del suo ex collega Di Maio per governare senza Giuseppe Conte. Purtroppo, per loro, hanno trovato chi è stato più abile ed hanno perso entrambi.
Autore foto: Alberto Pizzoli, Getty images
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