Filosofia e fede vanno d’accordo? Analizzando il tessuto della Prima lettera ai Corinti, un filo sottile di riflessione filosofica si intreccia con la trama della religione. Paolo di Tarso, con intenzioni religiose esplicite, apre involontariamente una finestra su un confronto filosofico di profonda rilevanza, conducendoci lungo un percorso di riflessione sull’impegno individuale dell’essere umano
La filosofia “involontaria” di Paolo di Tarso
Filosofia. L’intento di Paolo di Tarso, l’”apostolo dei Gentili”, cioè il principale (sebbene non il primo) missionario del Vangelo di Gesù tra i greci e romani, era quello di emancipare il Cristianesimo dalla sfera della filosofia greca, e in generale dalla filosofia umana, che apparteneva solo a una parte istruita dell’umanità.
Pertanto, l’apostolo introdusse il concetto di “uomini di buona volontà” in antitesi a coloro di “buon intelletto”.
Nella sua definizione dei primi, potremmo ravvisare echi della matrice platonica: “Dov’è il sapiente (sophos)? Dov’è il dotto (grammateus)? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo?” (1Co 1,18-20). L’espressione, in greco “suzetetes”, potrebbe essere un riferimento al filosofo della Scuola platonica. Il termine è infatti richiamato quattro volte in Platone, ma non è attestato né in Aristotele, né negli stoici prima di Epitteto.
Anche Giovanni filosofeggiava?
Parallelamente a Paolo, anche l’evangelista Giovanni iniziò il suo Vangelo con un frammento che ricorda la filosofia: “In principio era il Verbo (en archè hen o logos), il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio […] tutto è stato fatto per mezzo di lui […]. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,1-4).
Anche qui troviamo un chiaro richiamo alla filosofia, ma questa volta alla filosofia stoica, attraverso il concetto di “Logos,” ripreso da Eraclito e sviluppato ampiamente in accezioni fisico-teologiche, logico-cognitive e morali.
Nello Stoicismo, il termine “Logos” sottintendeva la “ragione insita nelle cose”, un “principio divino creatore e vitale”.
L’inizio del Vangelo di Giovanni invitava dunque l’uomo di fede a utilizzare la ragione per comprendere filosoficamente il testo sacro? La risposta lascia aperti molti interrogativi.
In effetti, Gesù stesso sembrava orientare i suoi seguaci in questa direzione quando, attraverso le parabole, attribuiva molteplici significati “esoterici” ai fatti narrati.
Un dialogo intrigante tra filosofia e fede
Paolo e Giovanni, volevano dunque invitare gli uomini a scrutare oltre le parole, alla ricerca del vero “Sophos“, del saggio autentico che abbraccia la conoscenza come via verso la verità?
Le loro prospettive e le scuole di pensiero che essi rappresentavano, erano in contraddizione, “pro o contro” la filosofia?
A un’attenta analisi, filosofia e religione non sembrano inconciliabili, ma richiedono alcune distinzioni.
Innanzitutto, va sottolineato che i due autori, nei loro testi, sembrano riferirsi a filosofie diverse. Come detto, Paolo sembra voler affrontare il Platonismo con la sua inclinazione verso il trascendente e lo spirituale, per respingerlo con determinazione (“Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti”).
Al contrario, Giovanni sembra abbracciare i principi dello Stoicismo, con il suo manifesto materialismo, accogliendoli come parte integrante della sua visione.
Considerando il contesto storico in cui i primi cristiani si trovavano, e la necessità di accettare l’idea che Dio si è incarnato, il materialismo potrebbe essere stato più appropriato. Si potrebbe persino sostenere che il Cristianesimo, in un certo senso, nacque “materialista“, nel senso che identificava il Logos con Gesù, collegando la speculazione dei greci alla filosofia dei cristiani.
Tuttavia, c’è un motivo storico più profondo che giustifica questa convergenza tra le due culture.
Enoteismo e l’evoluzione di pensiero
Gli stoici furono tra i primi a introdurre una formula teologica chiamata “enoteismo” corrispondente all’idea di un politeismo potenzialmente orientato verso l’unità, ovvero verso il monoteismo. Sostenevano che in ogni ciclo cosmico, tutti gli dei (Apollo, Atena, Urano, ecc.) convergessero in Zeus, concepito come fuoco-logos, dove per logos si intende la ragione divina nel mondo, l’animatrice e l’ordinatrice del cosmo, in qualità di Provvidenza e Spirito.
Questa concezione permetteva agli stoici di essere in armonia con i dogmi di tutte le religioni dell’epoca, a condizione che queste ultime fossero interpretate come espressioni di verità filosofiche, principalmente stoiche, e soprattutto della ragione stessa: appunto il logos.
Anche se l’idea di pregare la ragione come si farebbe con una divinità può sembrare strana, questa concezione apre la strada a un’interpretazione razionale dei miti e dei riti religiosi, non come un’allontanamento dalla religione, ma come un approfondimento di essa.
Questo stesso processo di integrazione tra religione e filosofia si è manifestato in molte culture del Mediterraneo (greca, egiziana, fenicia, etrusca, ecc.), e in particolare nell’ambito del Giudaismo ellenistico. Qui, la Bibbia è stata interpretata come un testo di filosofia, inizialmente con una chiave stoica e successivamente, con Filone di Alessandria, in una prospettiva platonica, ma sempre usando il linguaggio stoico che nel frattempo era diventato la lingua ufficiale dell’allegoria.
Dando per buono questo tipo di ragionamento, sembrerebbe dunque che il Prologo di Giovanni abbia attinto da questo contesto ricco di influssi filosofici e teologici. Di conseguenza, nell’ intricato intreccio tra filosofia e religione, sorgono interrogativi che ci spingono oltre le apparenze, alla ricerca di significati metafisici nascosti dietro le parole, rispondendo nuovamente al dubbio amletico: la religione era “pro o contro la filosofia”?
Tra le nebbie di filosofia e fede
La via della Croce e la via del Logos si intrecciano ancora una volta in un balletto tra filosofia e fede, aprendo nuovi orizzonti di comprensione. Se torniamo alla scissione iniziale fra Paolo e Giovanni e ai modelli che essi rappresentano, potremmo considerare che la via della Croce indicata dall’apostolo non fosse una alternativa alla via del Logos dell’evangelista, ma piuttosto che entrambe rappresentino una distinzione tra due approcci filosofici: quello teoretico-contemplativo, radicato nel Platonismo, e quello ermeneutico, rispettoso dei testi sacri, dei riti e delle tradizioni a essi associati.
Entrambe le prospettive condividono un comune intento: difendere una fede illuminata, arricchita dalla pratica dell’allegoresi. Una preziosa chiave interpretativa viene offerta da Plutarco, il quale distingueva tre tipi di lettori di miti: i superstiziosi che prendono il mito alla lettera; i meschini che lo scartano in quanto indegno di fede; e infine i saggi, gli allegoristi, che scrutano i profondi significati filosofici intrinseci. Per costoro, il logos, con la sua complessità e ambiguità, legittima l’interpretazione filosofica dei miti. Esso rappresenta sia la Verità, nel suo significato di “ragione”, sia la sua espressione o rivelazione, nel suo significato di “parola”.
Nel contesto del Cristianesimo, grazie alla sua natura materiale, il Logos non incontra ostacoli nella concettualizzazione di Dio (che è da sempre corpo e divinità simultaneamente) e nella divinizzazione di un essere umano. Questa visione onora i sacerdoti e persino gli antichi poeti, considerati espressioni inconsapevoli della Ragione, in una sorta di salvaguardia della tradizione, in sintonia con l’operato di Gesù.
Conclusioni
In definitiva, gli “uomini di buona volontà” di Paolo possono essere anche saggi, e persino filosofi, ma del genere di filosofi che, alla luce di molteplici testimonianze storiche, potremmo definire “allegoristi”. Quale lezione offre siffatta narrazione? Essa offre una chiave di lettura sul motivo per cui tre concetti fondamentali nel pensiero cristiano – Logos, Provvidenza e Spirito – traggano origine ed essenza dalla Stoa, mentre concetti centrali della teologia come Creazione, Grazia e il modello di teologia graduata del Neoplatonismo, affondino le loro radici nell’allegoria. Questi elementi costituiscono una sorta di traccia che mostra come il pensiero greco abbia fluìto verso quello cristiano, non seguendo la via tradizionale delle Scuole, ma l’approccio allegorico ai testi sacri, trasformatosi progressivamente in una sistematica ed esaustiva esegesi filosofica dei miti.
Foto di Welcome to All ! ツ da Pixabay
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