Nell’indifferenza generale prosegue, all’Accademia d’Egitto di Valle Giulia, in Roma, l’esposizione di alcuni dei più importanti reperti archeologici dell’antico Egitto e, forse, di tutta la storia dell’archeologia: i tesori della tomba di Tutankhamon.
La scoperta della tomba, nella Valle dei Re, fu effettuata il 4 novembre 1922, dall’archeologo inglese Howard Carter, dopo alcuni anni di scavi finanziati dall’appassionato mecenate d’oltre Manica Lord Carnarvon ed è l’unica di un faraone pervenutaci intatta; di conseguenza, è anche la più ricca.
Tutankhamon, appartenente alla XVIII dinastia – forse, la più importante – regnò nel XIV secolo a.C., dall’età di nove a quella di diciotto-diciannove anni. Nacque con il nome di Tutankhaton, in onore del dio Aton, il disco solare, venerato come unico vero dio da suo padre Akhenaton. Appena salito al trono, fu però costretto dai sacerdoti di Amon a cambiare il proprio nome, a restaurare il culto di Amon e a perseguitare la religione paterna. Sposò la sorella o sorellastra Ankhesenamon (maggiore di qualche anno) e, dagli ultimi studi, sembra che sia morto di malaria.
Quando Carter, per primo, si sporse a guardare nella piccola apertura che aveva fatto sul muro della camera mortuaria del “faraone bambino”, balbettò esterrefatto di vedere “cose meravigliose”. Subito, si sparse la voce che alcuni geroglifici, impressi sulle pareti, contenessero una “maledizione”, secondo cui tutti i profanatori sarebbero periti entro poco tempo. E, infatti, molti dei presenti si ammalarono e poi morirono miseramente, come Lord Carnavon. Carter invece, sopravvisse sino a tarda età.
Oggi, le più significative, di tali “cose meravigliose” sono esposte a Roma, sino al 30 giugno 2016, dal lunedì al venerdì, dalle ore 10 alle ore 17. Nonostante l’ingresso gratuito (anche se è necessario suonare il campanello dell’accademia per accedere), è incredibile che le sale della mostra siano perennemente deserte.
Le sale dell’esposizione sono quasi buie, probabilmente, per introdurre il visitatore nell’ambiente di un’antica tomba. Su uno schermo è proiettato un film in bianco e nero della scoperta, in lingua inglese e spagnola ma sottotitolato in italiano. I reperti esposti sono, in particolare, l’incredibile maschera d’oro del faraone (vedi foto), i due sarcofagi (interno ed esterno) e il bellissimo reliquario dei canopi. Quest’ultimi oggetti sono dei contenitori, con coperchio modellato a forma di testa di animale divinizzato, ove erano conservate le viscere del faraone. Si può ammirare anche il carro da parata del sovrano, i suoi bastoni cerimoniali con le figure dei nemici dell’Egitto, un piccolo santuario del dio Anubi e le statue del sovrano e del suo “ka”, cioè la misteriosa commistione di anima umana e spirito regale del faraone stesso.
Come detto, è incredibile che una mostra così importante sia assolutamente misconosciuta in una città come Roma dove rassegne analoghe o addirittura meno importanti, sotto il profilo artistico, storico e archeologico, attraggono turbe di visitatori. Ma, forse, la “maledizione del faraone” ha colpito ancora, scoraggiando anche gli appassionati più incalliti, ad eccezione di chi scrive.
info: Accademia d’Egitto
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