Florence Beatrice Price, nata Smith, è stata una compositrice afroamericana, nata nel 1887 a Little Rock, in Arkansas, stato nel sud degli Stati Uniti. La sua affermazione nel panorama compositivo non è stata affatto scontata, sia per il suo essere donna che per la sua nazionalità.
I primi passi nel mondo
Florence impara a padroneggiare il pianoforte grazie a sua madre, insegnante di musica, già a quattro anni mette in luce il suo talento e solo sette anni più tardi pubblica la sua prima composizione. Suo padre, invece, è un dentista, l’unico della città ad avere origine africana. Perciò, nonostante le limitate opportunità educative previste per gli afroamericani nel sud del dopoguerra civile, la famiglia Smith, molto rispetta nella società, dispone dei mezzi finanziari necessari per fornire un’istruzione privata alla ambiziosa figlia, indispensabili per sviluppare le sue abilità musicali. A quindici anni inizia a frequentare il Conservatorio di Musica di Boston, uno dei pochi dove gli afroamericani sono ammessi. La mamma, inizialmente, la presenta come messicana, sfruttando l’ambiguità del colore della sua pelle, per evitarle l’umiliazione di essere discriminata, ma Florence, in seguito, non ha mai cercato di nascondere le sue origini. Nel 1906 termina brillantemente i suoi studi e nel 1912 sposa l’avvocato Thomas Price, da cui divorzierà nel 1931, dopo aver avuto due figlie.
La carriera
Il successo arriva nel 1932, quando vince, con due suoi lavori, il primo e il terzo premio ai Wanamaker Foundation Awards. Uno di questi, la Sinfonia in mi minore, risuona in un concerto della Chicago Symphony Orchestra del 1933. Così, per la prima volta, un’opera di una musicista afroamericana viene eseguita da un’orchestra di chiara fama e il Chicago Daily News la definisce “un lavoro impeccabile”. Eppure, in una lettera datata 6 novembre 1943, Florence scrive al direttore della Boston Symphony Orchestra:
“Caro dott. Koussevitzky, sfortunatamente il lavoro di una compositrice è considerato da molti, in maniera preconcetta, leggero e frivolo, privo di profondità, di logica e di virilità. Aggiunga a questo il problema della razza – nelle mie vene scorre sangue africano-americano – e comprenderà bene le difficoltà che una persona come me si trova ad affrontare…”.
È appurato, invece, che la sua musica sia unica, particolare, interessante, perché sebbene fondata sulla tradizione europea, intrisa dell’idioma degli Stati Uniti, con elementi dello spiritual afroamericano e con l’utilizzo del ritmo sincopato. Florence sostiene:
“In tutti i tipi di musica negra, il ritmo è di primaria importanza. Nella danza, è una forza irresistibile, che si estende in avanti che non tollera alcuna interruzione. Tutte le fasi dell’attività autenticamente negra, che si tratti di lavoro o di gioco, di canto o di preghiera, sono più che adatte ad assumere una qualità ritmica.”
Infatti la compositrice colora il suo stile tardo romantico di nuance jazz, blues, come la danza juba, che caratterizza il terzo movimento della sua terza sinfonia; essa proviene dalla città di Charleston nel South Carolina. Insomma ella sente la “Negro music” come una missione da coltivare, per far confluire il patrimonio musicale afroamericano nel repertorio colto.
Ricordando Florence…
Dopo la morte di Florence, avvenuta nel 1953, la sua produzione è caduta abbastanza nell’oblio, ma dal 2020, grazie ad un festival a lei intitolato, è avvenuta una sua riscoperta, anche in seguito al ritrovamento di una serie di manoscritti musicali nella casa del piccolo villaggio di St Anne, nell’Illinos, dove l’artista trascorreva le sue estati. Uno straordinario tesoro creduto perso e ora donato all’Università di Arkansas.
Sua nipote Vicki Hammond ha affermato:
“Siamo così orgogliosi che nostra nonna sia stata riscoperta in un momento in cui l’alta qualità, il valore e la bellezza del suo lavoro non sono negati a causa del suo colore o del suo sesso”.
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