Il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha parlato a Torino dei giovani italiani e del loro livello di istruzione: «Non conoscono le lingue, italiano compreso, e neanche i rudimenti della matematica, non sanno fare di conto». Le considerazioni del ministro partono da alcuni dati che rapportano i nostri ragazzi a quelli europei. I giovani tra i 18 e i 24 anni con titolo di scuola media inferiore e non inseriti in altri percorsi formativi sono il 18,8%. In Spagna l’11, in Francia il 12, la media Ue è del 14. Quelli tra i 30-34 anni con un titolo universitario sono il 19,8%, in Francia il 43,5, nel Regno Unito il 43, in Spagna il 40, la media comunitaria è del 33,6.
Nel nostro Paese la spesa pubblica per istruzione e formazione riguarda il 4,8% del Pil rispetto a una media Ue del 5,6. Il ministro Fornero denuncia l’«atteggiamento snob dell’università» nei confronti delle imprese: «Troppo poco si è affrontato il confronto con le aziende per migliorare la corrispondenza tra domanda e offerta».
L’ex ministro della Gioventù Giorgia Meloni contesta le considerazioni della Fornero su Twitter: «Se i giovani non conoscono nemmeno l’italiano qualche colpa sarà pure dei professori». A favore invece i giovani dell’Udc: «Le parole del ministro potranno far pur male, ma hanno un fondo di ragione».
Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea, rifiuta l’«etichetta snob generalizzata» attribuita dal ministro all’università e sottolinea gli scarsi investimenti sopracitati: «L’Italia è un Paese con pochi laureati anche perché poco ha destinato all’università e alla ricerca. Un Paese dove la classe dirigente (con una percentuale di laureati del 10%) probabilmente fa fatica a capire l’importanza di certi investimenti».
L’ex ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer invece ha centrato il punto chiave della questione: «I nostri ragazzi non sono meno intelligenti. La forte espansione scolastica non è stata accompagnata, come in altri pezzi d’Europa, dal passaggio da un sistema fondato sulla conoscenza a uno centrato sull’apprendimento».
Il sistema scolastico italiano agisce ancora con una logica prettamente umanistica, privilegiando l’apprendimento di nozioni ad una formazione più improntata al fare e all’accumulo di esperienza in un ottica lavorativa. Bisogna anche dire che in Italia sono più di 2 milioni i giovani tra i 15 e i 29 anni che né studiano né lavorano, i così detti Neet (Not in Education, Employment or Training). Ciò dimostra la poca voglia o la disillusione di molti ragazzi a trovare un impiego. Probabilmente se lo Stato mettesse in atto una politica realmente improntata sui giovani (mobilità costruttiva, università che preparano al mondo del lavoro e agevolazioni all’assunzione per i giovani) il problema si risolverebbe da sé.
di Redazione
foto: ilsimplicissimus2
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