Buon Compleanno ad un grandissimo artista: il 25 gennaio 1939 nasceva a Milano Giorgio Gaber. Da tredici anni non c’è più; mancano oggi nel mondo dell’arte e non solo, la sua ironia, il suo spirito acuto e sagace, grande osservatore dei cambiamenti sociali e politici. Raffinato ed eclettico intellettuale.
Col suo teatro-canzone Giorgio Gaber ha attraversato quarant’anni cruciali della storia italiana, in una compenetrazione continua tra pezzi di vita pubblica e privata. Ironico, sarcastico, ruvido, istrionico, nel corso degli anni è stato definito “anarchico”, “vate dei cani sciolti”, ma non ci sono etichette a racchiudere una personalità così brillante e curiosa; qualsiasi “etichetta” risulta inefficace per riassumerne la sua grande personalità.
L’indimenticabile “Signor G ” oggi manca più che mai. “Credo che il pubblico mi riconosca una certa onestà intellettuale. Non sono ne’ un filosofo ne’ un politico ma una persona che si sforza di restituire, sotto forma di spettacolo, le percezioni, gli umori, i segnali che avverte nell’aria” .
Gaber inizia a suonare al Santa Tecla, famoso locale milanese e proprio qui conoscerà Adriano Celentano, Enzo Jannacci e Mogol; quest’ultimo lo invita alla Ricordi per un’audizione, per un provino; è lo stesso Ricordi a proporgli di incidere un disco. Comincia quindi una brillante carriera artistica con “Ciao, ti dirò”, scritta con Luigi Tenco. Poesia meravigliosa, che darà il via ad una serie di perle, poesie struggenti o ironiche sul nostro vivere, sulla fatica di amare, di lottare, di credere ancora negli ideali. Le prime canzoni, indimenticabili, “Non arrossire”, “Le nostre serate”, “Le strade di notte”, “Il Riccardo”, “Trani a gogò”, “La ballata del Cerruti”, “Torpedo blu”, “Barbera e champagne”.
Successivamente, la svolta teatrale ed impegnata. Il Piccolo Teatro di Milano gli offre la possibilità di allestire un recital, “Il signor G”, primo di una lunga ed importante serie di spettacoli musicali portati in teatro, monologhi e canzoni che permettono allo spettatore di “viaggiare” in una atmosfera densa di idee, di sociale, politica, amore, sofferenza e speranza, il tutto condito con un’ironia particolare, originalissima, che smuove risate ma anche la coscienza. Alla sua morte, a soli 63 anni dopo una lunga malattia, tutti sono stati pronti a “celebrare” il Gaber anticonformista ed anarchico, la televisione passò le canzoni più divertenti ed impegnate in cui criticava proprio quella generazione “di sinistra” di cui lui stesso faceva parte. Accadde per Pasolini e accadde di nuovo per Gaber: quando muore un artista che ha espresso idee indipendenti e forti, che escono un po’ dall’ortodossia del pensiero dominante, tutti pronti a tirarlo dalla propria parte. Ma il Signor G non voleva etichette, era un uomo profondamente libero ed onesto intellettualmente; era un raffinatissimo poeta, un osservatore dei costumi, prendeva e rimandava emozioni, osservava le miserie umane e lo spirito borghese con grande ironia e lo rigettava sulle nostre anime, mettendoci a nudo, scoprendo le nostre debolezze “Io se fossi Dio… e io potrei anche esserlo, sennò non vedo chi…” Amara, amarissima invettiva, anche censurata all’inizio.
Gaber venne attratto anche dalla canzone francese, come un altro grandissimo, De Andrè; ascoltava gli chansonniers della Rive gauche parigina, cui riconosceva uno spessore culturale ed un’attenzione molto importante ai testi che, diceva, “mancassero nella musica leggera italiana”. Gaber ha sempre affermato, a tale proposito, che il suo maestro fosse stato Jacques Brel.
Grandi spettacoli e grandi album, dunque, nella stagione teatrale dal 1970 al 1974; un tour con Mina, un salto di qualità rispetto alla televisione che a Gaber non è mai interessata particolarmente. Attenzione merita “Polli di Allevamento”, dove Gaber (insieme a Luporini) avverte il pericolo dell’omologazione del pensiero e del costume sociale, con il bisogno di isolarsi rispetto ad una società in piena caduta libera.
Il crollo iniziato dei valori culturali, del pericolo di una generazione che non saprà più interpretare lo spirito critico e recuperare progettualità e valori fondamentali come l’istruzione e la cultura, che poi sono le fondamenta per una piena e salda libertà. Gaber non è per tutti ma è di tutti e può diventarlo ancora. Non è nato per un’elite, è nato per il popolo, basterebbe riprendere in mano i suoi testi ed ascoltare le sue canzoni. Il bellissimo monologo “Qualcuno era comunista”, siamo nei pieni anni ’90, è una lucida ed amara analisi di quello che il comunismo aveva significato per tante persone, in termini di speranze ma anche di illusioni ed ideali; di quello che la fine di quell’esperienza ha voluto dire per molti, piena “caduta libera”, emozione e confusione, disillusione. “Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché era solo una forza, un sogno, un volo, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita”.
Potremmo scrivere migliaia di riflessioni ed aneddoti su Gaber, non basterebbero pagine bianche. La “Fondazione Giorgio Gaber” nel 2004 ha creato in suo onore il Festival Teatro Canzone Giorgio Gaber, a cui molti artisti italiani hanno partecipato , omaggiandolo e ricordandolo con i suoi brani più belli, primi tra tutti “La Libertà”, un testo anarchico nel senso più puro di sempre, un’autogestione della partecipazione e dei sentimenti, un mettersi in gioco senza regole, ma “regole” costituite soltanto dalle persone e dalle nostre coscienze. La libertà è valore di ognuno di noi ma noi non siamo liberi; sempre adeguati a binari prestabiliti da altri, non abbiamo il coraggio di guardare alle nostre ali.
Buon Compleanno, Signor G.
Si ringrazia il sito giorgiogaber.it
La Fondazione Giorgio Gaber
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di Alessandra Paparelli
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