Cosa potranno mai avere in comune il grande poeta dell’Infinito, la stilista più charmant della storia e l’autrice del delitto femminista più emblematico di tutti i tempi?
Già nelle sue celeberrime “Operette morali”, Giacomo Leopardi irride le conquiste della modernità, “sprezzando” l’idea del progresso scientifico e spirituale, come se questi fossero soltanto immaginari fantasmi o finzioni intellettuali.
Ma lo fa attraverso un geniale sistema di dialoghi immaginari, ove riesce a smascherare le pochezze umane attraverso la minimizzazione dei falsi miti, come quello della “Moda” che, dialogando con la “Morte”, toglie via dal mondo “l’usanza di cercare l’immortalità ed anche di concederla in caso che pure alcuno la meritasse”.
E così, ecco che Madama Morte e Madama Moda cominciano a dialogare, dicendosene un po’ di tutti i colori, ma la seconda tortura la prima spiegandole di essere sua sorella, ricordandole infatti di essere entrambe nate dalla caducità e perchè entrambe…”tiriamo parimente a disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiù, benché tu vadi a questo effetto per una strada io per un’altra.”
Magiche parole leopardiane per celebrare oggi due anniversari di due peculiari personalità, ove si ipotizza un legame immaginario in termini di “stile” declinato al femminile.
L’icona assoluta dello stile femminile
Il 10 gennaio di cinquant’anni fa Madame Chanel, al secolo Gabrielle Bonheur Chanel, detta “Coco”, morì a Parigi; era nata nel 1883 ed è stata la indiscussa regina della moda francese che vanta a tutt’oggi la prestigiosa maison che porta ancora il suo nome.
La straordinarietà di questa donna è consistita nell’essere stata capace di rivoluzionare completamente il concetto di femminilità, creando un abbigliamento innovativo come l’attuale tailleur, in un momento storico ove le donne ancora vestivano abiti lunghi, erano costrette in busti insopportabili e indossavano buffi cappellini tipici della Belle Epoque.
Creatrice del mitico e insuperato profumo Chanel n.5, Madame Coco, anticipando la modernissima immagine dell’influencer, austera con le sue lunghe collane di perle, con i suoi pantaloni maschili femminilizzati e con le infinite catene delle sue meravigliose borse, si impose come figura fondamentale del fashion design e della cultura popolare del ventesimo secolo.
Femminista ante litteram nell’accezione più nobile del termine, sosteneva che “…una donna attiva ha bisogno di sentirsi a suo agio nel proprio vestito”, così diventando l’icona di stile imitata in tutto il mondo; ancora oggi rappresenta un punto di riferimento per le donne autonome ed indipendenti.
Il simbolo femminista della reazione alla violenza maschile
Ma vent’anni più tardi, l’ombra di un femminismo più rabbioso e intriso di sangue giunge dagli Stati Uniti con una notizia di cronaca di cui ancora oggi si parla e che “fa stato” su un problema sociale tuttora aperto.
Il 10 gennaio di ventisette anni fa iniziò infatti il processo alla statunitense Lorena Bobbit, che volle decretare la “morte sessuale” del marito attraverso il taglio del suo pene che lei stessa – in un attimo di furore incontrollato – effettuò con un coltello da cucina mentre lui stava dormendo.
La Bobbitt si difese nel processo dichiarando di aver voluto reagire agli abusi continui che sopportava da anni e anni da parte del marito e che la sera stessa in cui ella ha compiuto il reato, era stata stuprata per l’ennesima volta da lui, rientrato tardi ed in stato di ubriachezza; dopodichè, ha atteso che lui si addormentasse come di solito e “come se nulla fosse”, per tagliargli l’organo sessuale, scaraventandosi poi subito dopo nell’automobile per gettare dal finestrino la parte del corpo amputata del marito, che venne poi ritrovata dalla polizia e che poi gli fu successivamente riattaccata in via chirurgica.
L’accusa di lesioni volontarie a carico di Lorena si concluse con l’assoluzione di lei nel 1997 per temporanea incapacità di intendere e di volere, mentre il marito, che poi ha esercitato l’attività di attore in film pornografici, dovette rispondere delle accuse di violenza che derivavano dalle dichiarazioni della moglie, ma dalle quali fu però assolto.
Tuttavia, il dibattito sulla violenza alle donne è ancora drammaticamente aperto; al tempo del delitto in questione, le donne statunitensi vivevano quella che che fu denominata la “terza ondata femminista”, periodo molto fecondo dal punto di vista della produzione saggistica letteraria sull’argomento; ragion per cui, per molte di loro, il “Caso Bobbitt” rappresentò un monito di matrice vendicativa che trasformò Lorena in una specie di paladina a difesa delle donne abusate.
La coppia, dopo essere stata intervistata in tutto il mondo per via dell’eco mondiale che caratterizzò l’evento, divorziò nel 1995 ed oggi Lorena Bobbit è persona ben diversa da allora; vive da vent’anni col secondo marito e -sull'”onda lunga” della sua terribile esperienza personale, si occupa proprio di donne vittime di abusi attraverso una apposita fondazione da lei stessa creata.
Se pur la coincidenza di una fredda domenica di gennaio ha affiancato due donne così lontane in termini di esperienza di vita e di stile comportamentale, soltanto il dialogo del grande poeta marchigiano le può associare in termini di riflessione su due temi universali che fanno parte del nostro normale vissuto quotidiano.
Foto di karosieben da Pixabay
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