Alberto Forchielli, classe 1955, laurea in economia a Bologna e master in business administration ad Harvard, è stato consulente del Ministero del Tesoro negli anni Novanta, senior advisor alla Banca Mondiale e alla Banca Europea degli Investimenti. E’ poi diventato imprenditore, fondando Mandarin Capital, SSG (società che offriva consulenza alle aziende italiane in Cina) e Osservatorio Asia, un centro di ricerche non profit focalizzato sul continente asiatico. Vive ormai fuori dall’Italia da molti anni.
Impertinente, senza peli sulla lingua, ha partecipato a diverse trasmissioni televisive e radiofoniche dove non ha risparmiato pungenti critiche sulla situazione economica e politica del nostro paese. Alberto Forchielli è anche molto attento ai giovani. Ed è proprio questo il tema che affronteremo in questa intervista. Guarderemo alle prospettive, immediate e a medio-lungo termine delle nuove generazioni, al ruolo della scuola e della cultura nel processo di crescita civile ed economica di un paese, alle strategie che dovrebbero essere messe in campo dai governi.
La prima domanda è di routine: quale futuro vedi per i nostri giovani in Italia?
R: I nostri giovani in Italia sono condannati a fare una scelta impossibile. Restare senza prospettive di affermazione, crescita, meritocrazia e senza un futuro migliore oppure andarsene per cercare tutto questo con la speranza di riuscirci (perché se è vero che non tutto è orribile in Italia è anche vero che non tutto è perfetto fuori dall’Italia) però lasciando le proprie radici, la propria terra la propria storia. Questa è la scelta che poniamo di fronte ai nostri ragazzi. Probabilmente non sarà una scelta che dovranno trovarsi ad affrontare tutti, una minima parte potrà restare ed essere felice, realizzata ed alcuni potranno anche restare e affermarsi, crescere e vivere in quelle sacche (sempre troppo poche) di eccellenza che ancora ci sono in Italia. Però sempre troppo poche, troppo piccole e troppo tardi. La maggioranza, se non agisce per tempo, sarà costretta alla scelta impossibile.
Quale consiglio ti senti di dare ai ragazzi italiani?
R: Non aspettatevi nulla dal sistema Paese. Dovete iniziare a capire da subito che nel mondo di oggi la conoscenza è un fattore di successo e non si può più pensare di coltivare la propria ingenuità fino al diploma o alla laurea. Le scuole superiori, gli studi, la preparazione e la formazione extrascolastica non possono essere un vezzo per ricchi o per i pochi genitori che hanno la lungimiranza di guardare avanti. La parola giusta è consapevolezza. E se attorno a voi nessuno sta pensando al vostro futuro dovrete farlo da soli.
So che sei fautore di un’importante offerta formativa: ce la vuoi illustrare brevemente?
R: Guarda … sul tema della formazione e consapevolezza mi sono impegnato molto negli ultimi anni, un po’ dove potevo e come potevo. Ho portato in Italia la Fondazione Roland Berger che si occupa di sviluppare un percorso personalizzato per ragazzi di talento ma senza i mezzi sufficienti per poterlo sviluppare. E quando dico che l’ho portata in Italia intendo che da subito la cosa mi ha appassionato e ho messo a disposizione i nostri uffici a Imola gratuitamente per la fondazione e poi sono stato il primo sponsor. Il modello è quello tedesco dove gli sponsor ogni anno decidono di rinnovare la propria partecipazione a fronte dei risultati effettivi. In Germania segue già più di 600 ragazzini e nessuno si intasca nulla. Viene tutto speso in educazione.
A fianco a questo ho deciso poi di spingere sulla mia idea iniziale di aiutare chi non ha un presente e non avrà un futuro in Italia per cercare lavoro all’estero, insegnandogli come fare e supportandolo passo passo durante la ricerca. Chiaro, in questo caso il servizio è a pagamento però abbiamo deciso di sviluppare tutta una prima fase in cui andiamo a capire con i candidati se ha un senso cercare di fare questo passo oppure l’alternativa alla disoccupazione in Italia è lo sfruttamento all’estero. Non hai idea di quanti potenziali emigranti scoraggiamo. Trovare lavoro all’estero non è facile per tutti. Per chi può però da’ molte più soddisfazioni che restare in Italia.
Cosa pensi della riforma della scuola sulla quale si sta ampiamente dibattendo?
R: Cosa vuoi mai, prima di tutto bisogna capire di quale riforma della scuola stiamo parlando. Il Governo aveva un’idea, a forza di retromarce e ripensamenti ha fatto inversione a U. Dovrebbero proporre di inserire un nuovo insegnamento obbligatorio in Italia: “ storia delle riforme scolastiche”. Siamo appena quest’anno entrati a regime con la vecchia riforma scolastica e ne stiamo varando una nuova. E ogni volta ministro e Presidente del consiglio sono convinti di lasciare il proprio segno nella storia varando una nuova e inequivocabilmente migliore riforma scolastica. Cosa vuoi che ti dica, ci sono due punti fondamentali nella preparazione scolastica che sono fondamentali ma che non vengono mai toccati per paura di perdere consenso:
- la qualità degli insegnanti. Non che il corpo docenti sia bravo o scarso a priori ma credo sia banale dire che insegnanti migliori abbiano come conseguenza un’offerta formativa migliore. Ma come valutarli, e cosa fare di chi migliore non è e non può diventarlo?
- Il budget a disposizione. L’investimento in cultura è un investimento con tasso di ritorno lungo, lunghissimo. E questo sia che l’investimento venga fatto sia che i soldi vengano tolti. Quindi levare soldi oggi vuol dire poterli spendere e sprecare subito in altre voci di spesa con un risultato ridotto nel breve termine nella qualità della formazione. Al contrario investire in cultura e scuola vuol dire avere un ritorno in 10-20 anni e un danno immediato. Quale politico oggi è disposto a perdere consenso adesso per, forse, un riconoscimento in futuro?
Perciò parliamo pure di tutto quello che volete però si continua a parlare di make-up, rivisitazioni, forma, corsi, ore, formule. Una riforma funzionale non può far altro che partire mettendo i docenti al centro e dandogli un budget adeguato per raggiungere un obiettivo. Di certo non si può rispondere in due parole ad un problema così complesso ma qui dovremmo davvero pensare ad un nuovo modello di scuola. Il mondo là fuori è cambiato e cambia continuamente. La scuola, per come è pensata oggi, soprattutto in Italia, non riesce a tenere il passo. L’unica domanda su cui non so rispondere è se questa nuova riforma durerà una o due legislature prima di esser messa in discussione. Se non sai da dove parti e dove vuoi arrivare non serve a niente avere un’auto in garage. E questo sia che sia una panda sia che sia una ferrari.
Credi che l’offerta formativa complessiva sia sufficiente, e se no cosa manca nel nostro paese?
R: A questo paese mancano dei centri di eccellenza a livello mondiale. Tutto sommato poi l’italiano è geniale, e questo sia quando si tratta di trovare scorciatoie che quando si tratta di farsi bastare quel poco che ha. Questo è un pregio atavico, direi che è parte del nostro genoma. Però questo genoma lo abbiamo costruito in secoli, millenni, di geni e eccellenze. Tutto nella storia parla di Italia. Appunto, nella storia. E dove sono finite le nostre Università un tempo invidiate da tutti? Nei world ranking generali siamo sempre oltre la posizione 150. E che quest’anno dovremmo ringraziare La scuola Normale Superiore di Pisa che si è posizionata 63 nel World University Ranking (bada però che la successiva è in posizione 201-225). Ci mancano Università di primaria eccellenza. Uno stato come l’Italia dovrebbe averne almeno 4-5 nei primi 50.
Per non parlare poi dell’istruzione tecnica intermedia che in Germania è diventata la spina dorsale della ripresa mentre in Italia è ancora troppo spesso rilegata ad essere una scuola di secondaria importanza. Dobbiamo ripartire, anche da qui.
L’Unione Europea ha spinto per alzare il livello di scolarità. Tuttavia, chi si laurea oggi si ritrova ad avere un bagaglio addirittura sovradimensionato rispetto alle posizioni offerte. Inoltre, il tasso di disoccupazione giovanile italiano è tra i più elevati in Europa. Come si esce da questa situazione paradossale?
R: Si esce da questa situazione paradossale alzando il punto d’osservazione e usando la lente giusta. Il livello di scolarità, in tutto il mondo, vuol dire maggiori retribuzioni e minori tassi medi di disoccupazione. Questo è un dato incontrovertibile. La gara all’educazione, alla formazione, ai titoli di studio più blasonati nel mondo è pazzesca. Ci poi poi due però:
- è finita l’era in cui se studiavi e ti laureavi ti venivano a cercare a casa ed eri ragionevolmente convinto di lavorare vicino a casa. Il lavoro va preso dov’è e dobbiamo smettere di piangere sul fatto che non è sotto casa.
- Non basta scolarizzarsi, bisogna anche entrare nell’ottica che in un mondo in evoluzione e in continuo cambiamento alcune professioni e competenze sono più importanti di altre. Negarlo vuol dire essere ciechi. Negarlo vuol dire condannarsi alla disoccupazione o alla sotto-occupazione. Oggi si ricercano professioni che siano attinenti a percorsi di studio STEM (science, technology, engineer, matemathics). Quindi liberi di studiare quello che preferite ma poi ne vanno accettate le conseguenze.
Il tasso di scolarizzazione è solo metà del problema. L’altra metà della medaglia è l’ambito e l’argomento in cui si ottiene la scolarizzazione.
Quanto contano cultura e formazione nel processo di crescita di un paese?
R: Sono tutto. Soprattutto oggi nel mondo frenetico e in continuo cambiamento. Cultura e Formazione da sempre sono gli occhiali con cui si riescono ad interpretare e a comprendere le informazioni e i dati che ci circondano. La follia distruttiva è quella per cui un genitore non manderebbe mai i propri figli con problemi alla vista in giro senza gli occhiali però sembra normale uno stato che non si preoccupa della cultura e della formazione dei propri cittadini. Qualcuno, a voler pensare male, potrebbe dire che meno capacità di analisi e interpretazione dei fatti vuol dire anche porsi meno domande quando si tratta di scegliere il candidato da votare. Qualcuno…
Come credi si evolverà la situazione di stagnazione europea nel breve-medio periodo?
R: La stagnazione europea è particolare perché all’interno di una situazione generale di stagnazione vi sono stati che tirano e altri che sono al traino. Ad oggi l’Europa è un’entità fragile, come uno stambecco vicino a un braco di lupi. Grexit, Brexit, debiti, regolamentazioni, immigrazione, politica estera sono tutti temi che non godono di una visione univoca e definita. Per falchi e colombe però oggi non ci sono alternative credibili e quindi funzionerà ancora per un po’ quantomeno. Di certo a meno di scosse traumatiche o di grandi momenti catartici in Europa dovremo iniziare a ragionare su temi come Secular Stagnation o New Normal che altro non sono che la gestione di una nuova era in cui la crescita del PIL e dei principali indicatori economici non saranno più al centro delle nostre preoccupazioni.
Quale scenario prevedi per l’Italia?
R: Anche facessimo oggi tutto quello che dovremmo fare (e siamo ben lontani anche solo dall’averlo capito, non dico proposto, ma proprio capito) ci vorrebbero 15-20 anni per iniziare a godere dei frutti di una nuova Italia. Ora metti la formula sopra alla situazione attuale e vuol dire che come minimo dovremo aspettare 20-30 anni. Cosa succederà ad un paese che 30 anni fa aveva gli stessi problemi e semplificando potremo dire che facendo le giuste riforme allora oggi godremmo di quei frutti invece che mangiare i frutti della terra dei fuochi? Io credo negli italiani e nella nostra eterna capacità di rialzarci e di andare oltre l’Italia rendendola grande anche quando grande non è affatto però non penso ci sarà un lieto fine per quest’Italia che non riesce a cambiare marcia. Mi auguro uno shock, un grande momento catartico da cui si possa ripartire. Come dopo la seconda guerra mondiale dove i nostri nonni si sono rimboccati le mani e hanno costruito le fondamenta di quest’Italia. Gli Italiani danno sempre il meglio quando sono messi con le spalle contro il muro. Credo però che in questo caso ci sia un precipizio e se non ci accorgiamo che gli stiamo arrivando vicini si rischia di scivolare invece che di reagire.
di Joe Di Baggio
foto: sabatosera.it
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Joe, complimentissimi per l’intervista. Sei riuscito a tirar fuori il meglio di Forchielli. Un intervista di spessore come di spessore è il personaggio. Superfluo dire che le sue opinioni sulla scuola riscuotono tutta la mia approvazione?
Tu sai che è così, peccato che risuonino come le parole del Battista, ricordi il passo del Vangelo in cui Gesù chiede ai discepoli: Chi siete andati a sentire nel deserto?
[…] l’intervista rilasciata da Alberto Forchielli a Je di Baggio (qui il link) ha proprio il sapore dell’aceto balsamico tipico della sua terra, un mix di dolce e salato […]
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