si scrive. ma perché, si scrive. forse perché nessuno t’ascolta. forse perché nessuno ti legge gli occhi. forse perché manca il coraggio di dire e dircele, certe parole. forse ci sono troppi perché, o troppi forse.
ricordo un film dove lei smise di parlare e c’erano gli spiriti e i delitti, e lei moriva piano piano, ma c’era sempre, anche da lontano.
ecco, questo specchio si sta allontanando dagli occhi, e spero che nessuno ci legga più, lì dentro, ma come dice mia madre anche in punto di morte dirò la mia ultima.
e oltre a me la dico qui, anche se non mi piace più nemmeno parlare qui dentro, ché spesso sembra che ci piangiamo addosso, di gioia d’infelicità non importa, ché sempre ci piangiamo perché non ci bastiamo. non ci bastiamo mai, e questo verbo strano del bastare diviene un cesso da scaricare, ché tutto sa d’avanzo.
m’ammetto d’essere, e triste e schifata e avvilita mi dico, e mi studio fino a non sapere, nemmeno più chi sono e nemmeno chi è l’altro di fronte a me. è troppo, questo. è troppo il questo che dobbiamo affrontare per restare essere, né davanti né dietro, ma qualcuno lo dovrebbe rispettare.
c’è tanta confusione perché il dolore fa così, e non mi fa vedere onesto, forse, e forse tutte quelle parolacce che mi rileggo nei gesti disumani è ché rivestono gli occhi di chi le dice, e poi diceva d’essere.
ecco, e mi chiedo dove vanno a finire le parole, se la coscienza non esiste più, ché ci accaparriamo delle peggiori per metterci in pace con la nostra. dimenticando che di nostro non esiste nulla, nemmeno un s’è, se cancelliamo le necessità dei te.
di simonetta bumbi
foto: stefano cracco
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