Che grande tristezza avvertiamo nel constatare quanto la categoria umana degli adulti dev’essere caduta in miseria civile e morale se loro, gli adulti, hanno permesso che arrivasse una ragazzina di sedici anni a ricordargli le responsabilità che avrebbero dovuto assumersi e non lo hanno fatto.Venerdì 19 aprile Greta Thunberg sarà a Roma e parteciperà allo sciopero scolastico con scolari e studenti della capitale. Ed è passato poco più di un mese da un altro venerdì, il 15 marzo scorso, quando milioni di adolescenti di tutti i continenti si sono uniti alla battaglia che Greta, da sola, ha cominciato soltanto alcuni mesi fa per portare all’attenzione del mondo la vera grande emergenza del nostro tempo: il cambiamento climatico.
Ieri è Greta è salita sul treno diretta a Strasburgo, di qui proseguirà per l’Italia, dove è attesa giovedì. Ad accoglierla ci sarà la presidente del Senato, Elisabetta Casellati. Con lei parteciperà, a Palazzo Madama, al seminario “Il tempo cambia. E’ tempo di cambiare”. Il giorno dopo sarà la volta di #FridaysForFuture a Piazza del Popolo. L’evento avrà luogo all’insegna dell’ecologia sostenibile, con il palco alimentato dall’energia elettrica prodotta da 128 ciclisti volontari: da spettatori della manifestazione pedaleranno 128 biciclette fissate su un cavalletto e azioneranno altrettante dinamo collegate in parallelo. Non sappiamo ancora se le “vacanze romane” di Greta prevedono una tappa anche in Vaticano e se la giovane svedese incontrerà anche Papa Francesco. Se succederà non ci sarà da sorprendersi dal momento che da sempre Francesco è impegnato in prima linea a favore dell’ambiente, tanto che ne ha scritto perfino un’enciclica.
Ma chi è Greta Thunberg, foto sopra, e come è riuscita a mobilitare milioni di coetanei nei cinque continenti? Con lo slogan Skolstrejk för klimatet (sciopero scolastico per il clima), Greta, scolara di Stoccolma al nono anno di scuola, la scorsa estate ha deciso di non cominciare il nuovo anno scolastico. Invece di andare a scuola, ogni giorno si è accampata davanti al parlamento svedese col suo cartello di protesta.
La sua decisione è nata dopo che, in Svezia, temperature eccezionali avevano causato vasti incendi nei boschi. Greta vuole che il governo svedese riduca le emissioni di anidride carbonica come stabilito nel 2015 a Parigi, quando i delegati di 195 nazioni, praticamente la totalità del pianeta, approvarono il testo di un accordo che fino all’ultimo aveva rischiato di non essere raggiunto: mantenere l’incremento della temperatura media globale al di sotto di 2 gradi rispetto ai valori preindustriali. Come base per la discussione i delegati nazionali avevano il quinto rapporto dell’IPCC, il Pannello Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite, uscito l’anno prima. Il prossimo rapporto uscirà nel 2022. L’IPCC è un organismo scientifico che ha iniziato ad operare nel 1988 e nel 2007 è stato insignito del premio Nobel per la pace. Adesso tre parlamentari norvegesi vorrebbero che il Nobel per la pace sia dato a Greta e ne hanno proposto la candidatura.
Che il clima sia diventato una minaccia per la sopravvivenza del pianeta e anche per la pace è innegabile. Nonostante ciò, ci sono capi di Stato e perfino scienziati che si ostinano a negarlo o a ignorarlo. Ma come si possono ignorare i fenomeni estremi sempre più frequenti che devastano ampie aree geografiche a tutte le latitudini e spesso in paesi che poco o niente contribuiscono all’inquinamento atmosferico? La battaglia cominciata da Greta è diventata un movimento globale che, grazie anche alla rete, ha raggiunto dimensioni gigantesche e che in sé ha i germi di una vera rivoluzione pacifica. Una rivoluzione per la sopravvivenza del genere umano. “La nostra casa è in fiamme” ha detto recentemente Greta e per spegnere le fiamme ha chiesto di attuare gli accordi di Parigi. Nonostante la sua semplicità, la frase “mantenere sotto i due gradi l’aumento di temperatura rispetto ai livelli preindustriali” appare piuttosto nebulosa e rende difficile cogliere la gravità della situazione.
Prima della rivoluzione industriale, e cioè fino al 1750, l’energia utilizzata per le attività umane era quasi esclusivamente naturale. Con la rivoluzione industriale si è cominciato a fare uso dei combustibili fossili e sono cominciate le emissioni di gas serra. Il sopracitato quinto rapporto dell’IPCC ha stabilito che fino al 2012 l’aumento medio della temperatura globale è stato di 0,78 gradi. Siccome gli anni seguenti e in particolare quelli dal 2015 al 2018 sono stati i più caldi della storia moderna, l’aumento di temperatura è certamente cresciuto ulteriormente ed oggi, presumibilmente, è prossimo a superare di un grado i livelli preindustriali. Ed è notizia recente che il 2018 è stato un anno record per le emissioni globali di gas serra (fonte Agenzia Internazionale per l’Energia). Con buona pace dell’accordo di Parigi. Va detto, peraltro, che nel testo dell’accordo c’è una raccomandazione importante che invita a limitare l’aumento a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. L’hanno voluta i rappresentanti degli Stati più vulnerabili al cambiamento climatico, come le piccole isole Marshall disseminate nell’Oceano Pacifico. Per questi Stati mezzo grado centigrado fa la differenza tra la vita e la morte.
Una cosa è certa: i mutamenti climatici stanno accelerando. Se, per miracolo, già oggi le emissioni si azzerassero del tutto, ciò non eliminerebbe i miliardi di tonnellate di gas inquinanti presenti nell’atmosfera. Questo vuol dire semplicemente una cosa: l’effetto serra continuerà. Tuttavia ne possiamo rallentare la crescita, ma per farlo è necessario un cambiamento radicale del nostro modo di vivere. Il merito del movimento messo in piedi da Greta è quello di aver puntato senza scorciatoie al cuore del problema, mettendo sotto accusa il modello di sviluppo capitalistico. Nello scorso mese di gennaio Greta si è recata nella cittadina svizzera di Davos ed ha parlato nella sede del Forum economico mondiale, tempio del capitalismo più autoreferenziale, dove finanza e politica si fanno l’occhiolino, incuranti del fatto che il successo di pochi è bilanciato da un’ineguaglianza dilagante e che metà del genere umano vive con meno di 5,5 dollari al giorno. Sul palcoscenico di Davos le parole di Greta non potevano essere più incisive. Eccone un estratto.
La nostra casa è in fiamme. Sono venuta per dire che la nostra casa è in fiamme. Qui a Davos alle persone piace raccontare storie di successo. Ma è un successo ottenuto a un prezzo impensabile. Secondo l’IPCC ci restano 12 anni, dopo di che non saremo più in grado di annullare i nostri errori. Risolvere la crisi climatica è la sfida più grande e complessa che l’Homo Sapiens abbia mai affrontato. La soluzione principale, tuttavia, è così semplice che anche un piccolo bambino può capirla. Dobbiamo fermare le nostre emissioni di gas serra. O lo facciamo o non lo facciamo. E’ assolutamente necessario attuare l’accordo di Parigi su scala globale. Dite che niente nella vita è bianco o nero. Ma questa è una bugia. Una bugia molto pericolosa. O impediamo l’aumento di temperatura oltre 1,5 gradi o non lo facciamo. O evitiamo di scatenare quella irreversibile reazione a catena fuori del controllo umano o non lo facciamo. O scegliamo di andare avanti come civiltà o no. Non ci sono aree grigie quando si tratta di sopravvivenza. Gli adulti continuano a dire: “Ai giovani dobbiamo dare speranza”. Ma noi non vogliamo la vostra speranza. Non vogliamo che voi abbiate speranza. Vogliamo che siate presi dal panico. Vogliamo che sentiate la paura che noi proviamo ogni giorno. E poi vogliamo che agiate. Voglio che agiate come se la nostra casa fosse in fiamme. Perché lo è.
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