Gucci mantiene la presenza nel calendario parigino, e dopo la necropoli romana di Arles, Alessandro Michele porta i suoi ospiti a teatro.
Anziché mandare telegrammi funebri per posta, questa volta sceglie dei semplici sacchetti colorati con bulbi di tulipani, fresie e crocus sativus (il fiore dello zafferano). Questi gli inviti, mostrati anche su Instagram. Indirizzati a un pubblico selezionato, e accolto lo scorso 24 settembre, in un vecchio teatro di Montmartre: Théâtre Le Palace. Lo stesso che negli anni Settanta e Ottanta era un nightclub super cool, e Karl Lagerfeld, Yves Saint Laurent, Mike Jagger, Andy Warhol, tra i più celebri frequentatori.
“Le Palace è una scatola in cui può succedere di tutto” dice Michele, che partendo dal palco fino alla platea, e poi viceversa, con la proiezione di un filmato prima, e lo show subito dopo, prova a far succedere di tutto anche lui, presentando come un evento da gran soirée, la sua ultima linea Spring Summer 2019.
Se il grande critico e teorico Silvio D’Amicodefinisce il teatro “la comunione d’un pubblico con uno spettacolo vivente”, senza pellicole riprodotte su grandi schermi, senza fantocci o ombre in movimento, Alessandro Micheleda regista teatrale allora sperimenta, e per il suo pubblico sul calar della sera, oltre allo spettacolo vivente(la sfilata) dalla suggestiva location, sfrutta l’occasione e combina le due cose.
L’obiettivo è far rivivere un passato nel presente, a modo suo, seguendo quell’anarchia estetica che dal 2015 (anno della nomina a direttore creativo del colosso Kering) a suon di eclettiche contaminazioni e tante ossessioni, ormai parla a tutti con un linguaggio preciso di bellezza: cangiante, improvvisa, una bellezza colta, fatta di citazioni inaspettate, che collezione dopo collezione si dispiega in abiti; e sempre in fieri, dietro una chiara e catalizzante ispirazione, mostra quelle molteplici versioni del sé. Le nostre, le stesse che Alessandro Michele, da folle storyteller di moda, non si stanca mai di proiettare.
Tutto questo dunque per celebrare il teatro, e non un teatro qualunque, quello d’avanguardia degli anni Settanta, prodotto da Leo De Berardinise Perla Peragallo. “I due dioscuri più trasgressivi e appassionati, più decadenti e irregolari del teatro di ricerca italiano” afferma così il designer, consapevole di aver subito in pieno, il fascino del loro rinnovamento dietro l’idea di un teatro, prima di tutto, laboratorio per sperimentare la vita.
Leitmotiv aleggiante sulle 84 proposte selezionate, la superba ode al teatro è dunque messa in infusione dal designer, già dieci minuti prima, a favore dell’arte performativa subito dopo, ossia la sfilata con tutte le sue possibili evocazioni. E quasi gettando un pauroso incanto prima ancora della presentazione stessa, proietta così dei frammenti di un vecchio video, realizzato proprio da Leo e Perla: scene girate tra l’interno e l’esterno di una villa in campagna, clip in penombra, sospese tra l’horror e il nevrotico, con il tic psicotico dei volti in primo piano, pronti a diffondere pathos tra tutti gli ospiti in sala.
Una mossa sperimentale dunque, ripensando alle sagge parole del grande critico teatrale. Il pubblico attraverso la pellicola riprodotta prima dello show, si unisce immediatamente a qualcosa di non vivente, e con l’animo turbato è finalmente pronto a sublimarsi di moda, e attraverso lo spettacolo viventeaccogliere la celebrazione tutta.
Per il creativo di Gucci, Le Palacediventa quel laboratorio sperimentale, e il teatro “paradiso di bellezza” si veste di combinazioni di abiti e accessori, e lo fa in un’atmosfera sinistra, e poi sublime, e poi sinistra di nuovo, con il canto disperato della Callas,in D’amor sull’ali roseedal quarto atto di Trovatore in sottofondo. Un canto disturbato a intermittenza dal caos del mondo fuori, con voli di elicotteri, sirene della polizia e clacson impazziti; intervallato soltanto dalla performance live di Jane Birkin, con Baby Alone in Babylonescritta da Serge Gainsbourg.
“La moda è più potente di quello che si possa pensare. Questa collezione nasce dalla mia ossessione per gli abiti. L’amore per la giacca, il capospalla e il tailleur… Sono sempre affascinato dagli abiti borghesi, ma poi li guardo a modo mio.” Spiega bene il designer nel backstage, rielaborando per l’occasione, tutto secondo un ordine che parte dal disordine, e poi fa il contrario.
Con omaggi diretti a star internazionali e cartoni animati, il caleidoscopio targato Gucci SS 2019 è all’insegna del glamour più sofisticato, ma un glamour quasi atemporale e fuori dalle tendenze, con la pazza leggerezza di riferirsi agli anni Ottanta, Settanta oppure ancora più in là… indietro di qualche secolo: ci sono sontuose maniche a sbuffo plissettate; scarpe in stile vittoriano con la doppia G sul davanti; Dolly Partone il suo volto stampato su giacche e tute; preziose tiare ricoperte da Swarovski; i cappelli a falda larga di Janis Joplin; omaggi al mitico David Bowie; e poi le borse, costruite sul design di una palla da bowling con la faccia di Mickey Mouse(parte di una collaborazione con Disney).
Un viaggio nel passato percorso a suon di paillettes, gioielli in bachelite, perline luccicanti e bordature con frange giganti, un mix di proposte uomo e donna che in un lento progredire segue la recita, e entrando dal ridotto, conduce sul palcoscenico, punto in cui si ferma e da lì osserva imperturbabile.
Imperturbabile come il cacatua bianco su una giacca, messo a ricordare ancora Perla e il suo pappagallo su una spalla; e poi il maialino con le ali, che prende spunto dal romanzo anticonformista di Marco Lombardo Radicee Lidia Ravera, Porci con le ali,scritto nel 1976; per il designer diventa una spilla, rappresentando quel monito a vivere la vita con libertà e consapevole leggerezza. Una leggerezza simile, ma non uguale alle citazioni in francese, quelle scritte in basso, a contrasto e in stampatello come postille sui post-it: dal glam spensierato di Deux pièces pour la Côte d’Azursul tailleur sartoriale in blu pavone, all’irriverenza di Robe d’homme pour femmesu una lunga tunica rossa.
Un défilé volutamente orchestrato per seguire quel non schema di moda, dove anche i riferimenti illogici e le sovrapposizioni più temerarie, come la conchiglia di protezione indossata sul pantalone, o il gilet di jeans su un trench coat dall’allure british, parlano assecondando un senso estetico irrazionale, evocativo, quasi “senza correre il rischio di estetizzare il già noto”, proprio come dicevano Leo de Berardinise Perla Peragallo, i due dioscuri più trasgressivi e appassionati della storia teatrale italiana.
E per tutto lo show, il designer sembra condurre il pubblico per mano, in uno stato di libertà apparente, sospeso come porci con le ali, tra il sinistro e il sublime, e diretto verso quella celebrazione chiassosa di usi, costumi e tempi che se non sono nostri, qui e ora, poco importa, perché se la moda va a teatro, diventa mezzo di comunicazione ancora più potente, e in questo, risulta davvero difficile non riconoscersi, e non riconoscere arte.
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