Guerra in Ucraina, bilancio e prospettive geo-politiche dopo due mesi di guerra

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Guerra in Ucraina. Sono passati poco più di due mesi dall’inizio dell’offensiva russa in Ucraina e ci permettiamo di fare un primo punto della situazione. Quando, il 24 febbraio scorso, l’esercito sovietico iniziò le ostilità, la maggioranza degli osservatori prevedeva che sarebbe stata una marcia trionfale. L’Ucraina non è né il montano Afghanistan né il desertico Iraq, si diceva. Le sue ampie pianure permetteranno ai Russi di muoversi a loro piacimento. In trenta giorni, al massimo, l’Ucraina sarà costretta ad arrendersi.

Si prevedeva che il Presidente ucraino Zelensky sarebbe presto fuggito in esilio, per essere sostituito da una docile personalità filorussa. Questi avrebbe accettato l’indipendenza delle Repubbliche del Donbass, in parte già occupate dai russi nel 2014. Intere province del paese invaso sarebbero state poi annesse o al Donbass o direttamente alla Russia. Il tutto, al massimo in meno di un mese.

Cosa è successo in questi due mesi di guerra in Ucraina

Di mesi ne sono passati più di due e non è successo nulla di tutto ciò. La guerra continua e Zelensky è ancora saldamente al potere. Ampie parti del paese sono un cumulo di macerie e cinque milioni di ucraini sono espatriati. Ma la Russia non ha ancora vinto. Anzi, un osservatore “con i piedi per terra” come il britannico Johnson ha declassato la vittoria russa al rango di “probabile”. Esaminiamo allora le fasi principali di questi due mesi di conflitto.

Senza girare attorno all’argomento, la Russia ha perso la “battaglia di Kiev”. Nei primissimi giorni di marzo, infatti, una colonna di carri armati lunga 60-70 km era giunta a soli tre km da Kiev. Almeno tre città dell’hinterland della Capitale erano state conquistate dai russi. Gli Ucraini, però, sono riusciti a fermare il nemico, infliggendogli grosse perdite. Alla fine i russi sono stati costretti a ritirarsi, lasciando sul campo morti e prigionieri. Oltre a centinaia di vittime civili barbaramente uccise. Contemporaneamente, Putin aveva sostanzialmente imposto un blocco navale all’Ucraina. Qualche settimana fa, tuttavia, la nave ammiraglia Moskva è stata affondata dai missili ucraini. Gran parte della flotta russa è dovuta quindi rientrare nel Mar d’Azov, che già da anni controllava.

A favore dei russi c’è stata la conquista della costa dal Donbass alla Crimea, compresa la città portuale di Mariupol. Il battaglione ucraino Azov, con svariate centinaia di civili è però, ancora asserragliato nelle grandi acciaierie della città. Il Mar d’Azov, è comunque diventato sostanzialmente un “lago russo”. Le armate che assediavano Kiev sono state poi dirottate per completare la conquista del Donbass ma, sostanzialmente stanno segnando il passo. Lo stesso capoluogo Donetsk è ancora oggetto di contesa. Gli Ucraini, infatti, controllano alcuni quartieri periferici della città. Da qui hanno reso inservibile per i russi l’aeroporto che costoro avevano conquistato.

La sconfitta di Putin nella guerra in Ucraina è strategica ed economica

Insomma, pare ormai certo che per il 9 maggio, anniversario della vittoria russa del 1945, non vi sarà ancora il cessate il fuoco della guerra in Ucraina. A parte la solita propaganda, Putin non sarà in grado di ostentare nessuna grande conquista territoriale. Fermo restando che anche i territori eventualmente conquistati sono ormai ridotti a un cumulo di cadaveri e macerie. Peggio ancora sta andando sotto il profilo strategico della politica estera russa.

Se il dittatore voleva dare un segnale alla Nato, presto se la ritroverà anche ai suoi confini settentrionali. Il parlamento finlandese ha infatti approvato la richiesta di adesione e tra pochi giorni lo seguirà quello svedese. Entrambe romperebbero una neutralità risalente l’una alla Guerra Russo-Finlandese (1940). L’altra addirittura alle guerre napoleoniche. Il Mar Baltico, che bagna San Pietroburgo, diventerà allora un lago al 95% Nato. Inoltre, la Russia avrà sempre più difficoltà a trovare acquirenti per le sue materie prime. Non foss’altro perché gli Stati europei si stanno attrezzando per la loro autosufficienza.

La Cina potrà parzialmente rimpiazzare i contratti risolti dall’Occidente ma pagando in Yuan. Una moneta, cioè, che consentirà ai russi di acquistare prodotti soltanto in Cina, a prezzi stabiliti dai cinesi. India e paesi del Terzo Mondo sono troppo poveri per fare la loro parte secondo i desiderata di Putin. Insomma, chi scrive si sente autorizzato a pronosticare che l’Ucraina sarà per Putin quello che l’Afghanistan è stato per l’URSS. Un lento stillicidio prima del suo definitivo crollo economico prima che politico. Sempre che il dittatore russo non cada o muoia prima.

Non solo guerra in Ucraina ma anche questione balcanica

Ciò non toglie che l’Europa, per dimostrare compattezza sotto il profilo geopolitico, deve ancora risolvere la “questione balcanica”. È in questo “ventre molle” dell’Europa che si infiltrano altre mire putiniane. A cui si sommano quelle del turco Erdogan e dei fondamentalisti islamici. Sono ancora sei gli Stati balcanici che non fanno parte dell’Unione. Sono Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Kosovo, Macedonia del Nord e Albania. Ma se entrassero tutti, la Commissione europea, da 27 componenti, salirebbe a 33. Troppi per essere gestibile. Serve una riduzione dei candidati.

Lo Stato più importante, tra questi sei, è indubbiamente la Serbia. In essa la componente filo-europea è anche più forte di quella filo-putiniana. Ma per trasbordare l’intera Nazione dalla parte dell’Europa è necessario allettarla con alcune concessioni. Dimostrando che la UE non la ritiene più responsabile dei crimini di Milosevic degli anni 90. L’anno scorso la Slovenia ha proposto di verificare la fattibilità di un’annessione della Repubblica serbo-bosniaca alla Serbia. Tale proposta sembra trovare i favori anche della Croazia. Pronta, in caso positivo, di richiedere l’annessione a sé dell’altra repubblica bosniaca, quella croato-musulmana.

In tal modo la componente musulmana, oggi maggioritaria in Bosnia, verrebbe diluita nella cattolica Croazia. Che potrebbe controllare meglio o addirittura bloccare le mire di Erdogan e le infiltrazioni fondamentaliste islamiche. Lo scrivente ritiene che tali ipotesi di ricomposizione delle nazionalità semplifichino la situazione geo-politica dei Balcani. Così come la semplificherebbe un’annessione alla Serbia anche delle due province di etnia serba del Kosovo. La UE deve far capire agli USA che in tal modo le “sirene” putiniane in Serbia potrebbero essere silenziate del tutto.

Riaccorpare le componenti nazionali prima di allargare la UE nei Balcani

Dei sei Stati oggi fuori dall’Europa, due fanno già parte della Nato: il Montenegro e l’Albania. In entrambi esiste una delinquenza organizzata molto forte, con legami con quella italiana. Restano poi il Kosovo e la Macedonia del Nord. Sono due “Stati cuscinetto” che gli Stati Uniti hanno voluto e mantenuto per contenere la Serbia filorussa di Milosevic.

La componente albanese del Kosovo è pari all’85%; quella della Macedonia è al 25%. Ricomporre la nazionalità albanese con l’annessione di ciò che resta del Kosovo, semplificherebbe anche in questo caso il quadro etnico-politico. Ma proporre anche la formazione di una “Grande Albania”, prima dell’eventuale eliminazione della delinquenza albanese organizzata è rischioso. Tenuto anche conto che diverrebbe l’unico Stato a maggioranza musulmana della UE. Con tutte le conseguenze relative alle infiltrazioni jihadiste e imperialiste turche. Per tale motivo il problema non potrà essere risolto entro a breve tempo. Ma prima o poi lo si dovrà fare.

Foto di Hubert de Thé da Pixabay

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