Nel III capitolo della Vita nova Dante narra del suo secondo incontro con Beatrice e, nel sonetto A ciascun’alma presa, racconta di aver avuto una visione. Nel sogno il dio Amore teneva fra le braccia Beatrice addormentata e poi, una volta sveglia, le faceva mangiare il cuore in fiamme di Dante. Il componimento è indirizzato ai suoi amici poeti. La speranza è che qualcuno di loro sappia spiegare il significato del sogno. La risposta migliore arriva da Guido Cavalcanti nel sonetto Vedeste, al mio parere, onne valore. Cavalcanti conferma a Dante che nell’amore per Beatrice ha trovato la cosa più importante della vita, la chiave di senso, la strada per la salvezza («Vedeste, al mio parere, onne valore/e tutto gioco e quanto bene om sente,/se foste in prova del segnor valente/che segnoreggia il mondo de l’onore»).
In questa riflessione poetica Cavalcanti dimostra di essere davvero – come affermato nella Vita nova – il «primo de li amici» per Dante. Egli infatti è l’unico che dimostra di avere la saggezza e la profondità necessaria per comprendere l’importanza dell’incontro tra il Sommo poeta e Beatrice (etimologicamente “colei che rende beati”). Ma l’Alighieri non è il solo a lodare Cavalcanti in una delle sue opere. Lo stesso fa — seppur in modo diverso — l’ammiratore più acceso della Commedia dantesca: Giovanni Boccaccio.
Cavalcanti nel Decameron
Nella novella Guido Cavalcanti, la nona della VI giornata, lo stilnovista viene presentato come «uno de’ migliori loici che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale […]. Leggiadrissimo e costumato e parlante uom molto». Un pensatore schivo e solitario che si rifiuta di prendere parte ai bagordi delle brigate fiorentine come fanno i giovani della sua stessa età e classe sociale. La novella narra che l’aristocratico Betto Brunelleschi insiste perché Cavalcanti entri a far parte della sua brigata, ma senza successo. Un giorno Guido si trova vicino al Battistero, presso delle arche sepolcrali. A un tratto Brunelleschi e la sua brigata lo accerchiano e lo provocano facendo cenno al suo presunto ateismo.
Cavalcanti risponde loro: «Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace». Dopodiché, con un salto, scavalca uno dei sepolcri e se ne va senza aspettare di capire quale effetto hanno sortito le sue parole. I motteggiati restano perplessi, solo Betto Brunelleschi — seppur a fatica e tardivamente — ne comprende il senso. Dice: «egli [Guido] ci ha onestamente e in poche parole detta la maggior villania del mondo, per ciò che, se voi riguarderete bene, queste arche sono le case de’ morti, per ciò che in esse si pongono e dimorano i morti; le quali egli dice che son nostra casa, a dimostrarci che noi e gli altri uomini idioti e non letterati siamo, a comparazion di lui e degli altri uomini scienziati, peggio che uomini morti, e per ciò, qui essendo, noi siamo a casa nostra».
Conoscenza profonda e leggerezza
Per Cavalcanti la conoscenza è vita e chi sceglie di restare nelle tenebre della rozzezza e dell’ignoranza (come fanno i membri della brigata) è da equiparare a un morto. Interessante, oltre al contenuto, è anche il modo in cui viene espresso il messaggio. Il poeta pronuncia un motto breve, semplice e se ne va con un balzo leggiadro. Non ha bisogno di ricorrere a discorsi pesanti e retorici per esprimere ciò che vuole dire. Si può affermare quindi che Boccaccio non presenta Cavalcanti semplicemente come simbolo della sapienza a fronte dell’ignoranza. Piuttosto ne fa emblema della conoscenza profonda connessa alla leggerezza dell’espressione.
Chi conosce davvero il mondo e la vita non ha bisogno di esprimersi in modo oscuro e difficile, ma sa farlo con la semplicità e la leggerezza con cui Cavalcanti scavalca il sepolcro con un balzo. L’ha capito bene Italo Calvino, che nelle Lezioni americane afferma: «Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi del nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite».
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