Nel XXVI canto del Purgatorio Dante si riferisce al poeta bolognese Guido Guinizzelli come al «padre/mio e de li altri miei miglior che mai/rime d’amore usar dolci e leggiadre». E così lo annovera insieme a Virgilio e a Brunetto Latini tra le figure di cui a livello intellettuale il Sommo poeta dichiara di sentirsi “figlio”. È noto infatti che Guinizzelli con la canzone-manifesto Al cor gentil rempaira amore abbia dato il via alla tendenza poetica dello stilnovismo, a cui ha aderito anche Dante. Tendenza che, tra le altre cose, è meritevole di aver introdotto nella cultura medievale un nuovo concetto di nobiltà associato all’altezza di ingegno.
L’esigenza storico-sociale della nobiltà d’animo
Meno note forse sono le ragioni storico-sociali per cui si è avvertita l’esigenza di passare dal concetto di nobiltà di sangue a quello di nobiltà d’animo, o come direbbe Guinizzelli, «gentilezza» di cuore. Il tema della nobiltà d’animo legato a quello dell’amore per la donna era già presente nella cultura cortese. Sul piano storico rispondeva a una necessità molto pratica: il nuovo ceto cavalleresco soffriva un senso di inferiorità rispetto all’antica aristocrazia, e affermare che la vera nobiltà non deriva dalla discendenza ma dalla prodezza e dalla cortesia consentiva ai cavalieri di riconoscersi a pieno titolo nella classe feudale.
La stessa valenza strumentale si trasmette anche a Guido Guinizzelli, ma con delle differenze. Innanzitutto Guinizzelli non è un cavaliere, ma un giudice che fa parte del ceto dirigente della società urbana. Un ceto nuovo, emergente e estremamente colto che alla fine del Duecento vuole raggiungere i vertici del potere comunale e scalzare la vecchia nobiltà cittadina. E allora torna in auge il binomio gentilezza-amore per cui l’amore si identifica con il privilegio spirituale di chi possiede un cuore gentile in grado di divenirne la sede ideale. Infatti Al cor gentil rempaira amore vuol dire nel cuore nobile ha la sua vera dimora amore. Ma non basta. In qualche modo bisogna che la vasta cultura della nuova generazione di politici-poeti venga messa in rilievo. Ed ecco che al connubio amore-gentilezza si aggiunge un terzo termine: l’alto ingegno.
Gentilezza e teologia
L’altezza di ingegno si esplica nel saper scrivere versi d’amore raffinati. E in questo Guinizzelli è un maestro, tanto che nella canzone — attraverso un sapiente sistema di immagini metaforiche — parlando dell’amore tocca la filosofia, la scienza e perfino la teologia. La quinta stanza della canzone recita: «Splende ’n la ’ntelligenzia del cielo/Deo criator più che ’n nostr’occhi ’l sole:/ella intende il suo fattor oltra ’l cielo/ e ’l ciel volgendo, a lui obedir tole;/e con’ segue, al primero,/del giusto Deo beato compimento,/così dar dovria, al vero,/la bella donna, poi che ’n gli occhi splende/del suo gentil, talento/ che mai di lei obedir non si disprende».
Il senso generale della strofa è che come Dio splende davanti all’intelligenza angelica e essa è naturalmente mossa a ubbidirgli, così la donna splende agli occhi dell’uomo nobile tanto che egli dovrebbe essere incentivato a servirla per sempre. Arriviamo così all’altro concetto fondamentale dello Stilnovo: la donna-angelo. Nell’ultima stanza di Al cor gentil rempaira amore Guinizzelli asserisce la somiglianza tra la donna e gli angeli del paradiso, ma fa anche capire che il conflitto tipicamente cortese tra l’amore per la donna e l’amore per Dio non è ancora completamente sanato. I due tipi d’amore restano ancora in concorrenza. Perché trovino conciliazione dovremo aspettare Dante con la sua Beatrice.
Foto di Sarah Richter da Pixabay
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