Le drammatiche immagini della alluvione di Genova, purtroppo non il solo territorio sconvolto dai fenomeni atmosferici di questi giorni, sembrano aver riportato il tempo indietro di tre anni.
Tanto è trascorso dall’ultimo disastroso nubifragio che ha sconvolto la Liguria e il suo capoluogo, ma, da allora, guardando cosa sta accadendo in queste ore anche in altre parti d’Italia, il tempo sembra essersi fermato in un devastante fermo immagine.
Da quei tragici fatti del 2011, sono trascorsi, per l’appunto, poco più di mille giorni, più o o meno lo stesso tempo chiesto da Renzi agli italiani per rimettere, a suo dire, diritta la barra del timone del nostro paese scosso da vicende politiche ed economiche non meno turbolente dei fenomeni atmosferici di cui si parla. Vicende che si ripetono e ripropongono, se possibile, perfino con maggior frequenza e violenza delle calamità naturali che sempre più spesso colpiscono l’Italia.
Riforme, crescita, lavoro e giustizia è il mantra ripetuto da Renzi lo scorso settembre nel discorso programmatico alle Camere. A guardar bene non molto diverso da quanto proponeva nel novembre 2011 agli italiani il neo Presidente del Consiglio Mario Monti che, dopo aver strappato applausi con un memorabile ” l’Europa siamo noi”, proseguiva poi proclamando la necessità di assumere urgentemente “provvedimenti rivolti a rendere meno ingessata l’economia, a facilitare la nascita di nuove imprese e poi indurne la crescita, migliorare l’efficienza dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani e delle donne, le due grandi risorse sprecate del nostro paese.”.
Sappiamo, purtroppo, com’è andata a finire. Dolorosamente abbiamo dovuto constatare che si trattava e si tratta di dichiarazioni di intenti, buone per tutte le stagioni e per tutti i governi, prevalentemente incentrate sul “cosa, più che sul “come” fare. In merito al “quando” fare, l’incognita resta alta.
Eppure la nostra classe dirigente dovrebbe aver capito che, ormai, il tempo dell’attesa è terminato e la gran parte degli italiani non ha “altri” mille giorni a disposizione per concedere alla politica, non solo a Matteo Renzi, il tempo di cercare di affrontare anche solo le urgenze indifferibili. Non li hanno gli alluvionati di Genova, non li hanno i giovani e non più giovani disoccupati, non li hanno i pensionati che arrivano a stento alla seconda settimana del mese, non li hanno le migliaia di aziende costrette a serrare i battenti ogni anno per una crisi che continua a mordere, per il mancato accesso al credito, per i ritardati o mancati pagamenti anche delle pubbliche amministrazioni, per l’impossibilità di sopportare un carico fiscale abnorme.
La previsione del prodotto interno lordo dell’Euro zona nel 2014-2015 è stata di recente rivista al ribasso ( rispettivamente dallo 0,9% allo 0,7% e dallo 1,1% allo 1,0%) e i problemi di crescita che si credeva fossero (prevalentemente) concentrati nella periferia del sistema, ora ne colpiscono anche il cuore. La spesa per i consumi ha resistito in maniera relativa grazie anche alla caduta dei prezzi dei prodotti energetici e dei prodotti alimentari e ad alcune stabilizzazioni del costo del lavoro. Le esportazioni sono state modeste e vi è stato un rallentamento degli investimenti. Del pari, anche le tensioni geo politiche hanno giocato il loro ruolo.
In Italia, ricaduta nella recessione nel secondo quadrimestre dell’anno, la possibilità di contrastare questa deriva risiede principalmente nella capacità di intraprendere finalmente la via delle riforme strutturali e riaprire il ciclo virtuoso di crescita, inflazione e credito. Molto difficile che ciò possa avvenire nei prossimi mille giorni.
Mentre si discute di massimi sistemi e ci si interroga su come poter tenere sotto controllo e possibilmente rispettare gli obiettivi posti dal Fiscal Compact, c’è un’Italia e degli Italiani che non possono più permettersi il lusso di perdere altri mille giorni.
di Marco Bartolomei
foto: nanopress.it
Scrivi