Ci eravamo augurati che, almeno di fronte alla morte di una persona e alla rovina finanziaria di molte altre, la speculazione politica e, in alcuni casi, lo sciacallaggio mediatico potessero contenersi. Non è stato così. A ciò si è aggiunta e continua a proliferare tanta disinformazione o un’informazione che tende a privilegiare la pancia piuttosto che la testa.
Cominciamo dai fatti. Quattro banche sono state salvate a scapito e danno di molti loro azionisti ed investitori. La domanda è: se si fossero lasciate fallire, il destino di costoro sarebbe stato migliore? La risposta, purtroppo, è no. Se le banche fossero fallite, non mancava molto, quest’oggi azionisti, e portatori di obbligazioni subordinate avrebbero comunque perduto tutti i loro soldi, in aggiunta a ciò, investitori, ma anche semplici correntisti, dipendenti, fornitori e ogni altro creditore di questi quattro istituti si sarebbe trovato travolto dal “fallimento”. Paradossalmente quindi, quanto accaduto è stato il minore dei mali o la meno grave delle disgrazie.
Era prevedibile che ciò accadesse? Anche se non era certo il giorno, certamente, a meno di improbabili miracoli, quel giorno sarebbe arrivato. Cosa ancor più grave è che non si è trattato di un fulmine a ciel sereno, tutt’altro. Vi erano segnali più che evidenti. Si trattava di banche commissariate da anni, le cui vicende legate al loro dissesto finanziario, per anni, hanno riempito le cronache, anche giudiziarie, dei giornali. Non si trattava di articoli riservati ad esperti di finanza. Per fare solo un esempio, Banca Etruria nel corso del 2014 è stata costantemente oggetto di attenzione, soprattutto da parte della stampa locale, dove prevalentemente si colloca la sua clientela. Puntualmente si è riferito di ispezioni della Banca d’Italia, sofferenze, necessità di ricapitalizzazione, crisi. Possiamo dire che tutti coloro che sono rimasti coinvolti in questa vicenda fossero disinformati o non informati?
Non si fatica a credere che anche in molti casi specifici vi sia stata negligenza, colpa e perfino dolo da parte delle banche e del loro personale quanto meno nello specificare i rischi di taluni investimenti, ma se ciò può valere per le obbligazioni subordinate, già molto meno vale per le azioni. Quello che risulta difficile da credere è che, proprio perché si tratta di contesti locali, le vicende della “banca del territorio”, con la relativa rete di connessioni personali e di intrecci con la vita quotidiana di migliaia di persone, oggetto di discussione persino a livello famigliare, si siano ridotte a pettegolezzi, chiacchiere da bar. La magistratura indaghi e se rileva responsabilità, anche e soprattutto dei managers che nel corso degli anni hanno causato tanto sfacelo, punisca duramente, ma, in realtà, pochi potranno sentirsi davvero immuni da personali colpe e dire di aver vigilato a sufficienza sui denari perduti.
Addolora dover dire tutto ciò, ma, per onestà intellettuale, occorre farlo. Non siamo medici, ma, se avvertiamo un malore o dei sintomi di un malanno, ricorriamo al medico e prendiamo dei farmaci. A leggere le cronache, non ci sarebbe stato nessuno che abbia, nel corso degli ultimi anni, non giorni, cercato per sé stesso un rimedio utile. E tutti a dare colpe ad altri.
Per i più “tecnici”, ma non bisogna essere necessariamente dei professionisti della finanza per comprendere questi dati, gli organi di informazione riportano periodicamente interessanti dati sui rischi bancari utilizzando come parametro gli impieghi di ciascuna banca rispetto al proprio patrimonio (il c.d. CET1 Ratio, ovvero il Core Equity Tier 1 Ratio, che, in sostanza, misura la quantità di investimenti fatti da una banca rispetto al suo patrimonio). Le norme di Europee prevedono come requisito minimo per le banche un CET1 Ratio del 10%, il che significa che una banca può effettuare investimenti ponderati per rischi fino a 10 volte il suo capitale.
Dunque un primo criterio per scegliere la nostra banca sarebbe quello di controllare il suo Cet1 Ratio e, più alto questo sarà, maggiore dovrebbe essere il grado di affidabilità della banca stessa. In un ordine di grandezza che considera il valore 10% come sinonimo di affidabilità relativa, nel Giugno del 2014 il valore dell’indice per Banca Etruria era di 6,10%, a Settembre 2014 questo valore era sceso al 5, 90%. Nel Dicembre 2014 veniva commissariata.
Sempre per onestà va detto che questo è uno tra i metodi di valutazione della solidità delle banche. I dati ci dicono che a Settembre 2015 le banche italiane con CET1 Ratio migliori superano il 20%, ma ci sono anche altre banche solidissime che sono poco al di sopra del 10,50%. Per la cronaca, sempre a Settembre 2015 i CET1 Ratio di Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza erano rispettivamente pari a 7,12% e 6,94%.
Con questi segnali si poteva intervenire, si poteva fare qualcosa? Probabilmente si. Certamente gli investitori avrebbero potuto “disinvestire” e cercare altre forme di impiego. Probabilmente la Banca d’Italia avrebbe potuto fare di più, ma cosa di più a parte commissariare, cosa che aveva già fatto, gli istituti? Il vero tema in questo caso è semmai la terzietà dell’organo di vigilanza Banca d’Italia il cui capitale è posseduto anche dalle stesse banche che deve controllare e alle quali paga annualmente significativi dividendi. Può in queste condizioni esercitare sino in fondo e con terzietà il proprio mandato?
Quanto accaduto a tanti risparmiatori è davvero doloroso, ma almeno insegni che, per difendersi, occorre anzitutto contare sulle proprie forze almeno informandosi e, nei limiti di quanto ci è materialmente possibile, cercare di prevenire il danno. Non bisogna dimenticare quanto siamo stati costretti ad imparare e dobbiamo ora pretendere, vigilando costantemente, che tutto ciò non abbia a ripetersi.
di Marco Bartolomei
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