Negli Stati uniti i teenagers che sono digital natives, ossia nati da un certo anno (‘86-‘87) in poi per cui nell’infanzia sono cresciuti con i sistemi operativi a finestre, modificando il loro l’approccio psicologico e sociologico, scambiando parte del sè con il computer.
Oggi tutti sono costretti in un modo o nell’ altro a utilizzare la tecnologia. Quello che era considerato un bisogno secondario, è diventato parte integrante della vita quotidiana, a tal punto da non poterne più farne a meno.
Internet e le sue applicazioni hanno ormai rivoluzionato il modo di comunicare, non ci si chiama, si wazzappa.
Si passano ore davanti al computer a chattare, chi si trova dall’ altra parte oramai è sempre raggiungibile, a tutte le ore del giorno e della notte, una vicinanza virtuale, costante ologrammatica.
Internet governa la vita quotidiana, scandendo il nostro tempo, le nostre conoscenze fornendoci tutte le informazioni che ci servono, stabilendo rapporti o cancellandoli, anche solo con un semplice click.
Comunichiamo mediante strumenti inventati da altri. Se apriamo un sito veniamo colpiti da pubblicità di pochi secondi che anche se guardati con disattenzione o con fastidio lasciano comunque tracce nelle nostra memoria.
Ci sentiamo liberi di comunicare di esprimere il nostro pensiero su tutti gli argomenti che ci interessa, sentendoci parte di una comunità.
L’altra faccia della medaglia è, come in tutte le cose, è quella dell’uso negativo della libertà di parola, che coincide con lo scatenare insulti, sempre più pesanti, per arrivare a comportamenti vessatori da codice penale.
Ovviamente anche la politica entra in questo sistema di comunicazione, lanciando messaggi, aggregando su slogan gruppi di consenso.
Si dice che Obama ha vinto le elezioni del primo mandato perché, il suo staff ha saputo utilizzare al meglio le risorse della rete.
Un messaggio innovativo ha raggiunto milioni di persone che si sono schierate immediatamente per il futuro presidente.
Anche qui l’altra faccia della medaglia.
Le immagini riprese durante un dibattito in Parlamento, hanno trasmesso una bagarre avvenuta in seguito ad una discussione di una legge, che per vari motivi non era accettata da una parte politica. Non entriamo nel merito dell’oggetto della discussione in aula, ma quello che il pubblico ha potuto vedere.
Si è assistito ad un’assalto al tavolo della Presidenza da parte di alcuni parlamentari, con spintoni, insulti ecc. che molto hanno ricordato, più le fumose assemblee universitarie degli anni 70, che una aula di un parlamento.
Ovviamente tutto è stato ripreso sui social network ed a leggere i commenti, sembra di essere capitati tra i peggiori gruppi di ultras delle curve di calcio. Turpiloquio, minacce, epiteti razzisti e via discorrendo.
Ma soprattutto gli attacchi si sono scatenati contro alcune persone, perdendo completamente di vista la tematica della discussione.
E’ partita una campagna di “hate speech” tradotto in italiano come “incitamento all’odio”, (termine coniato dalla giurisprudenza americana per classificare tutti quelli insulti diretti alla persona con motivi razziali, di sesso, ecc.) che ha avuto come obiettivo personaggi, giornalisti ecc, che hanno provato a contestare a questi comportamenti.
Questa, dunque, è la comunicazione politica? E’ utile a far comprendere i temi di un dibattito, le decisioni contrarie o favorevoli a chi ne sa poco? Ma soprattutto lo scatenarsi con insulti contro alcune singole persone serve a costruire una alternativa?
Oppure semplicemente l’insulto copre una mancanza di idee, di capacità tattiche e strategiche che consentano un cambiamento?
di Gianfranco Marullo
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