Nel 1989 Marisa Laurito cantava in maniera scanzonata “il Babà è una cosa seria”, ebbene, questo dolce è intriso di musicalità, a partire dal suono del suo nome.
Il Babà è una cosa davvero seria
Il Babà per i partenopei è talmente “una cosa seria” che dire ad una persona “si nu’ babbà” indica una particolare squisitezza del carattere della stessa. Il termine si può anche riferire ad un oggetto particolarmente bello.
Insomma, il Babà ha un significato davvero positivo…
Un dolce da passeggio…
Si tratta di un dolce dal sapore squisito, inconfondibile, che sebbene necessiti di ben tre lievitazioni, non ha bisogno della disciplina di fabbrica ed è talmente pratico, da poter rientrare nelle categorie dei dolci da passeggio, da città.
Rappresenta infatti il giusto equilibrio tra velocità, praticità, gusto e maestria.
Inoltre si tratta di un dolce “democratico” che in epoche passate, era in grado di accontentare il palato del popolo e dell’aristocrazia.
Dove nasce il Babà
In realtà, ad inventare questo dolce non furono i napoletani, ma il Re polacco “bidetronizzato” Stanislao Leszczinski (re dal 1704 al 1735) suocero di Luigi XV di Francia, che aveva sposato sua figlia Maria.
Le sue radici risiedono dunque nel freddo nord, precisamente nella cittadina francese Luneville ai confini con la Germania, ma ne esiste anche una variante chiamata “baba” senza accento, ossia slavo e non francese, in Polonia.
Come è nato?
Come si sa, le migliori invenzioni avvengono per sbaglio o per caso.
Privato del Regno di Polonia, Stanislao si annoiava, si circondava di filosofi e scienziati. Finì per ideare un programma di collaborazione internazionale e di integrazione europea, che sulla carta era portentoso, ma era altrettanto difficile da attuare.
Per distrarsi, Stanislao si faceva preparare ogni giorno dei dolci diversi.
Ebbene, il Re aveva intinto nel Madeira una fetta di kugelopf, un dolce austriaco a metà tra il panettone e la brioche, ed avendo trovato di suo particolare gradimento, da allora volle che gli venisse servito sempre in quella maniera.
Stanislao era un grande appassionato di cucina e pertanto si dedicò con entusiasmo nel perfezionamento di tale ricetta.
Quella definitiva si ottenne con l’impasto lievitato tre volte e sbattuto per ottenere una pasta più leggera, condito di uvetta e lo zafferano di cui andavano matti i turchi (da lui conosciuti quando aveva perso per la prima volta il suo regno ed era stato fatto prigioniero).
La forma ed il nome
La forma trae ispirazione dalla Cupola di Santa Sofia a Costantinopoli, mentre il nome deriva da Ali Babà, il protagonista de “Le Mille e una notte”.
Fabrizio Mangoni, autore de La Fisiognomica del Cibo e illustre storico della pasticceria napoletana ha definito il babà come “dolce dei Lumi”.
Mentre infatti la maggioranza dei dolci nasce dalla tradizione contadina “il babà è figlio di un’idea”, ovvero del nobile Re.
La bagna
Il segreto del babà è la bagna che consente di mantenere il dolce morbido ed evitare che si asciughi in poche ore.
Come abbiamo accennato, Stanislao aveva scelto il Madeira, ma Versailles, dove si dettavano tutte le mode, si usava il rhum giamaicano, una sciccheria esotica….
Il Rum venne utilizzato per la prima volta dal pasticcere originario della Polonia Nicolas Sthorer che aveva seguito l’esilio del Re a Luneville.
Questi aprì un proprio laboratorio a Rue Montorgueil, ancora oggi è al numero 52, dove creano i babà come sono giunti fino a noi.
Successivamente Jean Anthelme Brillat-Savarin regalò ai fratelli pasticcieri Julien, proprietari di un laboratorio a St.Honorè, il babà a forma di ciambella.
Essi ben presto apportarono qualche modifica: al centro venne immersa la frutta, venne eliminata l’uvetta, aggiunto il burro e spennellata della marmellata di albicocche per salvare la bagna più a lungo.
Da quel momento il dolce Ali Babà divenne il Babà.
Come arriva a Napoli
La sorella di Maria Antonietta fu fondamentale nell’introdurre a Napoli la cucina e la moda francese.
Qui assunse la forma definitiva assai caratteristica (quella di un fungo) e venne elaborato dai monzù (una storpiatura del francese monsieur) che prestavano servizio presso le famiglie aristocratiche partenopee nel XVIII e XIX secolo.
Nel 1836, scrive Flavia Amabile nel suo testo, “il babà appare come dolce tipico napoletano nel primo manuale di cucina italiana scritto da Angeletti per Maria Luigia di Parma”.
Da allora il babà divenne dapprima uno status symbol, poi tradizione, segnando la storia della pasticceria del Regno delle due Sicilie e poi dell’Italia.
Ricetta
Ingredienti
500 g di farina
00 italiano
175 grammi di burro
50 grammi di zucchero
18 grammi di lievito di birra
10 g di sciroppo di malto
5 grammi di sale
350 grammi di uova intere
50 g di tuorli
25 grammi di rum a 70 gradi
Procedimento
Con circa 150 grammi di farina, (presa dalla farina della dose) e 60 g di acqua prepariamo un piccolo impasto che fa da lievito e che deve rimanere sostenuto, ma deve essere ben lavorato.
Rotoliamo il piccolo in basso, coprendolo con una pellicola e lo facciamo lievitare fino a quando il suo volume non sia raddoppiato.
Lo mettiamo a puntare in un posto caldo e se non lo troviamo nell’ambiente dove produciamo lo mettiamo a bagnomaria in acqua tiepida.
Nel frattempo che lieviti, con tutti gli altri ingredienti tranne lo zucchero, formiamo l’altro impasto.
Appena lo vediamo “maturo” uniamo il lievito precedentemente preparato e lo zucchero e faremo continuare la lavorazione, dopodiché con l’ausilio di un sacco a poche a bocchetta liscia riempiamo gli stampi dei Babà, fino a metà e mettiamo a lievitare a circa 28 gradi centigradi fino a quando lo stampo non sarà quasi tutto riempito.
Dopodiché mettete a cuocere in forno preriscaldato a 210 gradi per circa 10 minuti, un quarto d’ora o fino a quando non ci accorgeremo che il babà non sarà cotto.
Ingredienti per lo sciroppo di rum
Un litro d’acqua
500 grammi di zucchero
La buccia di un’arancia
Mettiamo il tutto a bollire, poi facciamo raffreddare e aggiungiamo circa 200 grammi di rum a 70 gradi, riscaldiamo di nuovo a 36 gradi circa lo sciroppo creato e mettiamo ad ammollo i Babà fino a quando non si impregnano per benino.
Per la glassatura ci avvaliamo di una passata di albicocca che allunghiamo con un po’ di sciroppo da noi creato.
Dopodiché con un pennello possiamo glassare i nostri babà.
Buon appetito
fonti baba.it/storia – camcampania.it
Flavia Amabile Edizioni dell’Ippogrifo (Sì nu’…babbà, 2001)
Fabrizio Mangoni, La Fisiognomica del Cibo
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