Da circa una settimana abbiamo iniziato un nuovo periodo liturgico, il tempo “ordinario”, nel corso del quale ogni cristiano, in virtù del battesimo e della personale chiamata alla santità, è invitato a vivere in pienezza la bellezza dell’ordinarietà come un itinerario di fede, di speranza e di carità incontro a Cristo Gesù, Signore del tempo e della storia.
Quando Dio chiama alla santità non si serve di spazi particolari per farsi sentire. Egli ama manifestarsi nell’ordinarietà della vita, invitandoci sempre a seguirlo. È quanto apprendiamo dal Vangelo di questa seconda II Domenica del tempo ordinario, (Gv1, 35-42), i cui versetti narrano l’incontro tra Gesù e i suoi primi apostoli.
I due personaggi del Vangelo, la cui identità è rivelata in maniera chiara solo per Andrea, erano discepoli del Battista; fu proprio costui a indirizzarli a Gesù, quando, dopo il Battesimo nel fiume Giordano, lo indicò alle folle quale “Agnello di Dio” (Gv 1, 36); un epiteto questo, che vuole richiamare un testo di Isaia nel quale è descritta la triste vicenda del “Servo sofferente, Colui sul quale dimora lo Spirito inviato da Dio” (Is53, 7-8). Ai due discepoli che vogliono mettersi alla sua sequela, Gesù chiede: “Che cosa cercate?” Essi rispondono formulando un’altra domanda: “Maestro, dove abiti?”. Gesù risponde: “Venite e vedrete”, li invita, cioè, a seguirlo e a stare un po’ con Lui.
È da notare come i quattro evangelisti, pur scrivendo il Vangelo in momenti diversi, utilizzino sempre tre verbi per raccontare la chiamata dei discepoli: Gesù, infatti, prima “passa”, poi “guarda” ed infine, “chiama”. In quei brevi frangenti trascorsi con Gesù, i due discepoli rimasero così affascinati dal suo carisma che uno di loro, Andrea, subito ne parla a Simone suo fratello comunicandogli la lieta notizia di aver trovato il Messia.
A tale proposito, troviamo altri due verbi molto significativi, “cercare” e “trovare”, che vogliamo fare nostri, formulando un impegno da portare avanti sempre con maggiore impegno per tutta la durata di quest’anno.
Rinnoviamo, allora, il nostro cammino di fede, manifestando la gioia di cercare e di trovare incessantemente Gesù, perché solo questa è la gioia più vera: seguire, conoscere, amare il Maestro, con la mente (la ragione) e con il cuore (la fede). In altri termini, al cristiano basta solo essere autentico discepolo di Gesù e coltivare costantemente l’amicizia con Lui. Da questo rapporto di amore avremo pace e serenità, soprattutto nei momenti più ardui della nostra esistenza. Quando la fede si imbatte nella notte oscura senza poter più “sentire” e “vedere” la presenza di Dio, l’amicizia con Gesù ci dona la certezza che in realtà nessuna cosa al mondo potrà mai separarci dal suo amore (cfr Rm 8, 39).
Cercare e trovare Cristo: anche oggi la parola di Dio ci invita a riprendere il cammino della fede. Chiediamo anche noi a Gesù: “Maestro, dove abiti?” ed Egli ci risponderà: “Venite e vedrete”. Ricordiamo che per noi, cercatori di Dio, Cristo rimane sempre lo stesso ieri, oggi e sempre; l’uomo, invece, con il tempo, gli spazi, il mondo e la sua storia, è in continuo divenire.
Ma Gesù ci chiederà pure: “cosa cercate?”, che possiamo anche tradurre: “cosa bramate, cos’è che desiderate?” La prima parola di Gesù nel Vangelo di Giovanni, quindi, è una domanda, una richiesta che rivela le intenzioni più intime dell’uomo e l’evangelista, arguto e ingegnoso, nel corso del suo Vangelo la riproporrà altre due volte: “Chi cercate” (Gv18, 4) chiede ai soldati giunti per arrestarlo nell’orto degli Ulivi e “Donna, perché piangi? Chi cerchi?” (Gv20, 15) chiede a Maria di Magdala nel giorno della Risurrezione. È un interrogativo molto serio che interpella la nostra disponibilità, soprattutto quando vogliamo cercare Gesù. E noi lo sappiamo bene quando lo cerchiamo come il Messia o come un delinquente o come un morto da piangere oppure come il Vivente che dona vita. “Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi ed io vi darò ristoro” (Mt11, 25).
Sì, vogliamo ristorarci nutrendoci della Parola di Dio e rimanendo nel Signore così come è accaduto al giovane Samuele, la cui vocazione è narrata tra le righe della Prima Lettura di oggi (1Sam3, 3-10.19). Una chiamata, una vocazione quella di Samuele molto intima. Questo personaggio, purtroppo poco ricordato, ma che ebbe grande influenza nella storia dell’antico Israele, tende a sottolineare la completa disponibilità alla vocazione di Dio e la totale obbedienza alla sua parola.
Samuele, quindi, diventa per noi un esempio eloquente, un luminoso testimone a cui guardare per imparare ad aver fede e per educarci alla fede. Samuele parla all’uomo e al mondo contemporaneo che oggi hanno fame di altro e che, provando una strana solitudine, si trovano a fare i conti anche con la fragilità, l’insicurezza, la paura, l’angoscia.
Forse abbiamo bisogno di incontrare altri fratelli che, capaci di irradiare serenità, gioia, speranza, insegnino anche a noi a sorridere, nonostante le tante prove che ogni giorno ci colpiscono. “Le nuove generazioni – direbbe Paolo VI – sono particolarmente assetate di sincerità, di verità, di autenticità. Hanno orrore del fariseismo sotto tutte le forme. Il mondo insomma ha bisogno di santi”. E sarebbe bello così!
Considerando questa realtà che nessuno può ignorare, sforziamoci di dare alla vita feriale un sapore di bontà e di vera fede capace di infonderci fiducia e di farci stringere la mano a quella di Gesù, perché sia Lui, e solo Lui, a guidare le nostre scelte. Invochiamo anche la Vergine Maria, l’aiuto dei cristiani, perché in questo cammino ci aiuti e ci insegni a seguire il Figlio. Assieme a lei vogliamo assaporare ogni giorno la gioia di amare il Signore e di penetrare sempre più nel suo mistero di luce. Amen.
di P. Francesco M. Trebisonda, o.m.
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