Le ultime notizie che riguardano il colosso cinese Huawei e i suoi rapporti con i fornitori americani sono decisamente allarmanti e allarmistiche. Ma dietro titoli altisonanti e fin troppo drammatici si nasconde una verità più sottile e meno evidente che solo in pochi sono andati a raccontare in modo approfondito.
Il “ban” verso Huawei è stato annunciato in un periodo durante il quale il clima politico tra gli Stati Uniti e il governo cinese è al minimo da anni a questa parte, mentre si susseguivano (già da tempo) velate minacce e tangibili azioni politiche come l’innalzamento dei dazi commerciali in entrata verso occidente.
In questa situazione, ognuna delle parti in gioco sta cercando di mostrare all’avversario quali sono le carte nel proprio mazzo in una sorta di poker politico-commerciale. Come uno a ricordare all’altro cosa potrebbe perdere in caso di chiusura totale dei rapporti. E se gli americani, da parte loro, hanno tutta quella parte di “silicon valley” che per decenni è stata gallina dalle uova d’oro del loro PIL, è anche grazie e soprattutto una forza lavoro prettamente intellettuale, al contrario della potenza industriale e produttiva orientale.
La mossa americana
La mossa americana ha avuto un clamore senza precedenti in questo mondo, una vera e propria bomba mediatica che sta monopolizzando le discussioni tra addetti ai lavori, social network e prime pagine dei giornali. In buona sostanza tutti, ma proprio tutti ne hanno sentito almeno parlare.
La contromossa cinese, invece, sta arrivando “a fari spenti” in modo silenzioso ma prepotente e beffarda. Velata ma non troppo, visto che è passata praticamente inosservata al grande pubblico, ma non alle istituzioni politiche americane che hanno da poche ore già fatto un clamoroso dietro-front rimandando tutto a fine agosto e congelando di fatto per tre mesi il “ban”.
Resi Huawei
Ebbene, mentre nei negozi già qualcuno ha proceduto frettolosamente al reso di qualche prodotto Huawei acquistato appena qualche giorno prima, e i giornali non di settore raccontano di come Trump sia riuscito a domare la tigre asiatica, il presidente cinese Xi Jinping faceva beffardo e sorridente una giratina istituzionale nella sede di JL-Mag, azienda leader mondiale nel settore delle cosiddette “terre rare”.
L’annuncio del presidente cinese
L’annuncio ad effetto arriva proprio dalla provincia del Jiangxi: “Siamo qua per iniziare la Lunga Marcia per ricordare il momento in cui l’Armata Rossa ha cominciato la sua marcia”, detto in un mondo la cui cultura è rappresentata da un forte simbolismo è un discorso decisamente da tenere in considerazione.
Xi ha visitato il luogo da dove la Lunga Marcia partì nel 1934 e ha deposto un mazzo di fiori sotto il monumento che ricorda gli scontri con i nazionalisti del Kuomintang. In quella zona si produce circa l’80% delle cosiddette terre rare, ovvero una serie di elementi chimici non comuni della scala periodica, che servono come “base” per la produzione di qualsiasi prodotto tecnologico, dagli smartphone ai computer, passando per console di videogiochi e televisori.
Produzione materiali tecnologici
Oltre la Cina, il resto della produzione di questi materiali (per lo più ittrio e scandio) avviene in Africa (in mano ai cinesi) e nell’est caucasico (regno di Putin). Qualcosa anche in Australia, anche se pare evidente non possa questo bastare al fabbisogno di tutto il resto dell’occidente.
Il Presidente cinese, con una semplice visita, ha fatto capire a tutto il mondo che se decidesse di chiudere i rubinetti dell’export delle terre rare si configurerebbe una catastrofe a livello planetario.
Altro che Huawei senza Android. Xi Jinping era oltretutto accompagnato, guarda caso, dal suo vice che è poi anche il delegato alle contrattazioni commerciali con gli USA.
Il segnale è stato così chiaro che, come dicevamo, gli USA hanno fatto immediatamente marcia indietro rimandando ogni decisione a un prossimo futuro.
Quali sono i possibili scenari futuri?
Lo scacchiere internazionale è difficile da prevedere, ma una cosa è abbastanza certa: le redini del gioco sono saldamente in mano alla Cina. A meno che, con un colpo di stato, una guerra o chissà cosa, gli USA non diventino in tempi brevi veri “amici” della Corea del Nord.
Perchè proprio loro?
Nel nord del paese giacciono infatti sepolti i giacimenti più imponenti al mondo di terre rare: si stima che i giacimenti ammontino a quasi 220 milioni di tonnellate, contro gli attuali 55 di tutta la Cina. Chissà se dietro gli ultimi incontri di Trump con il dittatore koreano non ci sia la volontà di spuntare le armi politiche cinesi?
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