Il Coronavirus colpisce anche gli artisti dello spettacolo

Centri di produzione in crisi, artisti nello sconforto. Un appello per gli aiuti economici

Scena tratta dallo spettacolo “Romeo e Giulietta”, regia di Tony Contartese

Cosa ne sarà dell’arte quando tutto questo finirà? Avrà ancora modo di esistere la figura del “lavoratore dello spettacolo”? Se già era difficile prima, dopo sarà possibile vivere con la recitazione, con la musica, con la scrittura o con una qualsiasi forma d’arte? 

I numeri parlano chiaro: ci sono ben oltre 300 mila persone, impiegate nel settore dell’intrattenimento e della cultura, che non stanno lavorando. Secondo l’Agis (Associazione generale italiana dello spettacolo), la perdita calcolata è di circa 20 milioni di euro la settimana; ma anche qualora le restrizioni dovessero diminuire o essere annullate, chi si andrà a rinchiudere in un teatro, in un cinema o si sentirà sicuro nell’affollamento di un concerto?

Nelle decisioni, o non-decisioni che il MiBACT (Ministero per i beni e le attività culturali) sta prendendo, i lavoratori dello spettacolo non hanno voce in capitolo. Nel frattempo il Ministero esorta gli artisti a creare contributi gratuiti da condividere, sul web scoppiano allora le proteste e le petizioni, molti attori hanno condiviso sui social un video in cui recitano L’infinito di Leopardi senza audio, lo slogan è proprio questo “siamosenzavoce”. 

Ma perché è così importante preservare la longevità dell’arte e il futuro dei suoi addetti, in un momento in cui le esigenze primarie sembrano altre? Il Santo Padre risponde così: “Preghiamo oggi per gli artisti, che hanno questa capacità di creatività molto grande, per mezzo della bellezza ci indicano la strada da seguire. Il Signore ci dia a tutti la grazia della creatività.” 

È questa la preghiera che Papa Francesco compie durante la celebrazione svoltasi nella chiesa di Santa Marta il 27 aprile, il Santo Padre ci parla di bellezza, di cui gli artisti sono tra i primi produttori, rendendo, con la loro creatività, il mondo un posto migliore. 

Per fare arte bisogna avere fede, credere in una spiritualità, credere che la propria produzione artistica, possa suscitare emozioni e sollevare l’essere umano dal materialismo e cinismo in cui spesso rischia di affondare. Veniamo chiamati, nonostante l’emergenza, a trovare una modalità per non dimenticarci di “dar da mangiare”, oltre alle nostre bocche, anche allo spirito. 

È normale, in particolar modo in questo momento, in cui il tempo di riflessione non manca, chiedersi quanti minuti, ore, secondi dedichiamo a curare la nostra fede, a dare importanza alla nostra anima oltre che al nostro corpo. In una società dove l’apparenza è regina, dove i contatti sono veloci e troppe volte virtuali, dove gli idoli delle nuove generazioni sono coloro che possiedono più followers, può veramente esserci spazio per la spiritualità? 

Foto da un set cinematografico di Rai Movie con operatori specializzati steady-cam

Gli interrogativi sono davvero tanti. Lo stato di sconforto sta dilagando tra i lavoratori dello spettacolo, che temono di perdere definitivamente la possibilità di esercitare il loro mestiere, e tra i giovani che rischiano di dover rinunciare ai propri sogni, perché quando la priorità è mangiare, sognare e perseguire la bellezza è un lusso che in pochi possono concedersi. 

Forse sarà necessario inventarsi nuove forme, citando Checov, che permettano la produzione di progetti artistici in convivenza con il virus, come molti già propongono; la performance in streaming e film girati autonomamente da casa sono delle possibilità, ma che impatto avrà su di noi tutto questo? 

Giovani artisti dello spettacolo sul set di un cortometraggio a Roma

Probabilmente ne usciremo cambiati, forse la performance dal vivo sarà qualcosa di superfluo o forse, invece, ne avremo bisogno più che mai, per esorcizzare le paure, per imparare nuovamente ad abbracciarci, per affrontare i lutti, per sognare l’amore. In tal caso sarà necessario prendersi un impegno, sarà necessario sostenere non solo le grandi produzioni, ma anche tutte quelle piccole realtà che fanno meno rumore e che sono le prime a dovere chiudere i battenti, sarà necessario contrastare il lavoro nero al quale tanti artisti non riescono a dire di no, perché “o così o niente”, ma in troppi ora ne pagano le conseguenze. Il singolo conta poco e spesso chi è scomodo viene allontanato, solo la collettività potrà rendere, da utopiche, reali queste “necessità” e darci la possibilità di non rinunciare a quella bellezza capace di indicarci la strada.

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