La solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo pone alla nostra attenzione uno sfondo quanto mai suggestivo, illuminato abbondantemente dalle letture bibliche di questa Domenica. È come se ci trovassimo dinanzi ad un trittico: al centro contempliamo la scena della Crocifissione di Gesù (Vangelo); poi da un lato quella dell’unzione di Davide (I lettura) e dall’altro, infine, l’inno cristologico di S. Paolo ai Colossesi (II lettura).
Ma a dominare tutto il nostro sfondo è l’immagine di Cristo Crocifisso. Il messaggio principale dell’odierna liturgia è molto chiaro: il cristiano di tutti i tempi deve ripartire dalla Croce di Cristo perché è proprio su questa Patibolo che si manifesta la pienezza della sua regalità. Ammirando il primo quadro del nostro trittico si svelano a noi due atteggiamenti: il disprezzo, manifestato dal cattivo ladrone e da alcuni uomini che stando ai piedi della croce insultano Gesù: “Se tu sei il Cristo, il Re Messia, salva te stesso scendendo dal patibolo” e l’amore di Gesù che, rivelando la sua gloria, rimane fermo sulla croce come l’Agnello immolato; all’atteggiamento del Crocifisso si unisce anche quello dell’altro malfattore, il ladrone pentito che, nel momento terribile della morte confessa apertamente la regalità di Gesù, implorandoLo: “Ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42).
Nella stessa scena, inoltre, compare anche il cosiddetto titulus crucis, l’accusa che inchioda Gesù (“Questi è il re dei Giudei”) e che fu incisa su una rude tavolozza per essere posta sulla sommità della croce, da tutti conosciuta con la sigla latina “INRI” (Jesus Nazarenus Rex Iudaeorum). Questo titolo, chiara espressione di scherno, in questa triste circostanza diventa per ogni uomo la proclamazione della verità. Gesù, infatti, non è un re qualunque ma il Re. “O felix culpa” ci fa cantare S. Agostino nella notte pasquale: “Felice colpa che meritò di avere un così grande Redentore”. È vero, attraverso Cristo Crocifisso, Dio si rivela all’uomo in maniera chiara e massima; Egli, che è essenza di amore, morendo in croce compie “l’Atto d’amore”, il più grande che sia mai accaduto in tutta la storia dell’umanità. Ecco perché non c’è chiesa che non abbia un crocifisso. Quest’icona di sangue e di grazia, per i cristiani di ogni epoca sarà sempre l’invito eloquente a ricordare il Re, Colui a cui tutti noi dobbiamo prestare umile servizio, memori che quel cruento patibolo non è uno strumento di morte ma un trono di grazia, sul quale Gesù è stato innalzato ed immolato per la nostra salvezza.
Nel giorno del Battesimo, infatti, quando veniamo segnati con la croce è tutta la Chiesa che fa memoria del suo Sposo; Egli “l’ha amata, consegnando se stesso per lei” (Ef 5,25). Così come è accaduto per Gesù, ogni battezzato è sempre chiamato ad offrire la propria vita per la Chiesa. E ora contempliamo il secondo quadro del nostro trittico e ci lasciamo aiutare dalla I lettura che narra l’unzione regale di Davide; ci colpisce subito la “dimensione corporativa” della regalità: gli anziani d’Israele si recano ad Ebron, sanciscono un patto con Davide, dichiarando di voler formare con lui una cosa sola: “Noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne” (2 Sam 5,1) – dicono. Se volessimo riferire quest’analogia a Cristo, le stesse parole degli anziani dovrebbero risuonare anche sulle nostre labbra: “Vogliamo appartenere a Cristo e con Lui formare una cosa sola”. Rinnoviamo allora il nostro patto con Gesù, riformuliamo la nostra amicizia con Lui; la dignità di cristiani che ci viene consegnata al Battesimo assume senso e valore pieno solo grazie a quest’intima relazione con Lui.
Infine, meditiamo l’ultimo quadro: l’inno cristologico della II lettura, attribuito alla penna di S. Paolo. Il Regno di Cristo, che l’Apostolo definisce “la sorte dei santi nella luce”, non è distante da noi, anzi, è una realtà di cui facciamo parte concretamente grazie all’opera redentrice di Cristo (Col 1,12-14). Paolo, dunque, ci apre alla contemplazione di due dimensioni proprie del mistero di Cristo: la creazione di tutte le cose, in vista di Cristo e la loro riconciliazione, mediante la sua morte e risurrezione. Anche per Paolo la croce è il luogo supremo dove la regalità di Gesù si rivela in tutto il suo splendore. La Chiesa di ogni epoca, perciò, è sempre chiamata a proporre Cristo come l’unico Salvatore del mondo. Gesù non è una filosofia, non è una gnosi, ma una Persona viva, vera, un Uomo Incarnato come ogni uomo, Morto e Risorto, costituito dal Padre sin dall’eternità Re e Signore dell’universo.
Beati noi che possiamo contemplare questa rivelazione! Che gioia ma anche che grande responsabilità poter servire questo Re e testimoniare con la nostra vita la sua signoria! È questo il compito di tutti i cristiani: annunciare al mondo Cristo, unica speranza per l’intera famiglia umana. A questa missione però è strettamente unita la pace tra tutti i discepoli di Cristo, quella stessa pace che il Messia, figlio di Davide, avrebbe instaurato su Gerusalemme nella pienezza dei tempi (Sal 121). Le parole del Salmo: “Domandate pace per Gerusalemme!” (v. 6) trovino in noi piena realizzazione. Pertanto, la preghiera per la pace e per l’unità costituisca la peculiarità della nostra missione, affinché la Chiesa sia sempre “salda e compatta, segno e strumento di unità per tutto il genere umano” (LG 1). Tutti insieme poniamo questa missione sotto lo sguardo di Maria Santissima. A Lei, Regina alla destra del Re, vogliamo affidare tutti noi, ma anche tutti coloro che ogni giorno si impegnano a seminare il Regno di Cristo nei solchi della storia.
di Fra’ Frisina
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