«Aiuto! Aiuto! Aprite la finestra! Che confusione, che cuoco pasticcione!». Così cantava la piccola Federica Colucci, vincitrice della 43ma edizione dello Zecchino d’Oro: un ritornello che «La prova del cuoco» trasformò in un vero e proprio tormentone.
Pasticcio, pasticciaccio, pasticcini, pasticceria
Moltissimi termini di origine culinaria sono entrati nel linguaggio comune.
Dall’impastare, ad esempio, sono derivati «avere le mani in pasta» (anche nel senso dispregiativo di essere coinvolti in affari disonesti) e «pasta d’uomo» con cui si definisce un uomo buono.
«Siamo fritti!» dicono i malviventi nei fumetti quando vengono arrestati, «la spiaggia è un girarrosto», cantava Bobby Solo nel 1969 in «Domenica d’agosto», mentre una «patata bollente» (che ispirò anche il film di Steno del 1979) è, secondo la definizione della Treccani, un «problema delicato, scabroso, di difficile soluzione».
Pasticcio tuttavia, sembra aver completamente smarrito il suo rapporto con la cucina.
«Che pasticcio, Bridget Jones!» titolava in italiano il secondo film della serie: un titolo che tutti interpretiamo come: Che disastro, Bridget Jones!
Carlo Emilio Gadda, nel suo romanzo poliziesco, noir e talmente ambiguo da non dare certezze al lettore su chi sia il vero colpevole, c’era andato ancora più pesante intitolandolo «Quer pasticciaccio brutto de via Merulana».
Il pasticcio nella cucina
Un pasticcio è un involucro di pasta che racchiude un ripieno che può essere salato o dolce, di carne, pesce, verdure, frutta e di altri ingredienti dolci o dolci-salati o di una loro combinazione: una tecnica che risale alla cucina della Persia ed il cui scopo principale è la gestione della temperatura di cottura per evitare di bruciare o di disperdere in acqua o in brodo gl’ingredienti più delicati.
Pasticci, pasticcini, panzerotti, agnolotti, tortellini, ravioli, fritti pastellati hanno tutti la medesima funzione ed iniziarono a prendere piede nella cucina occidentale a partire dal 1300 con la traduzione in Sicilia del «Cammino di Jazla» del medico di Baghdad Abu ali Yahya ibn Isa Ibn Jazla Al Baghdadi.
Dal pasticcio culinario al pasticcio del linguaggio comune
Per cuocere un involucro di pasta ripiena di maggiori dimensioni lo strumento ideale è il forno, ma per avere un forno casalingo si è dovuta attendere la «stufa Cassrol» (storpiatura del francese «casserole») inventata nel 1735 dall’architetto belga François de Cuvilliés: quella che ora chiamiamo cucina economica.
Per lunghissimo tempo, praticamente sino al secolo scorso, sono stati quindi creati e gestiti i forni collettivi che si affiancavano ai forni privati e attorno a questi apparati complessi si è costruita la figura del fornaio.
Nel Medioevo i fornai si eressero in corporazioni comprensibilmente gelose dei loro segreti professionali ed è qui che nacque probabilmente l’accezione popolare di pasticcio.
Se i fornai erano gelosi delle ricette delle varie paste, non meno di loro dovevano esserlo i cuochi per i ripieni anche considerando che allo stesso fornaio si rivolgevano più cuochi e così i cuochi consegnavano ai pasticceri le varie farciture senza rivelarne l’esatto contenuto.
Agli occhi di coloro che frequentavano i forni quei preparati dovevano apparire come intrugli misteriosi e «pasticcio» prese il suo significato popolare di cosa priva di forma, rabberciata, inestricabile perché in effetti il ripieno del pasticcio, che finì col prevalere nel nome sulla scatola di pasta, era, appunto, un insieme d’ingredienti mescolati in modo confuso e che perdeva ogni rapporto con la materia prima originaria.
Dai pasticci alla pasticceria
Sino alla fine del 1800 la pasticceria dolce era di fatto integrata nella cucina mentre piccole preparazioni di pasticceria, come i biscotti e i vari pani dolci, erano appannaggio dei panettieri.
A dividere, anche fisicamente, le due professioni, quella del cuoco e quella del pasticcere, sono state l’irruzione della refrigerazione e l’evoluzione degli strumenti di cottura con la possibilità di mantenere sotto controllo e gestire le temperature ottenendo risultati in precedenza inimmaginabili.
La conseguente separazione degli ambienti e delle linee di produzione è stata il primo passo per la separazione delle due Arti per accentuare la quale i pasticceri hanno sostituito il termine «cucina» con «laboratorio» che nel linguaggio comune rinvia alla chimica, alla precisione e alla sperimentazione.
Una precisione che con «Il pasticciere e confettiere moderno» di Giuseppe Ciocca, edito nel 1907, divenne scienza.
Dall’opera di Ciocca in poi il pasticcere ha identificato colui che realizza con estrema precisione sofisticate e golose preparazioni dolci: un perfezionista.
«Pasticcini», cioè piccoli pasticci, sono, genericamente, i prodotti dal laboratorio del pasticcere.
Però il «pasticcione» rimane sempre il cuoco.
Lo dicono anche i bambini.
Scrivi