Il destino nella ghianda: la psicologia della vocazione e del carattere

il destino

La questione fondamentale che ci poniamo oggi è se siamo figli delle azioni e delle circostanze che ci hanno plasmati, o se siamo piuttosto il frutto di una ghianda, ovvero portatori di una vocazione innata e di un destino predeterminato. James Hillman, celebre psicologo e autore del libro “La Forza del Carattere e la Codice dell’Anima”, ha dedicato la sua carriera a esplorare queste domande. Hillman, noto per il suo approccio archetipico alla psicologia, ha messo in discussione molte delle convenzioni della psicologia moderna, spostando l’attenzione dalla mera analisi dei traumi e delle diagnosi verso una comprensione più profonda e simbolica dell’anima e del destino umano

Psicologia moderna e la crisi del significato: il destino nella statistica

La psicologia scientifica, influenzata dalla medicina e dalle statistiche, si basa su modelli diagnostici e trattamenti che non considerano la dimensione più profonda e spirituale dell’individuo. Questo approccio, descritto nel manuale dell’American Psychiatric Association, si concentra su sintomi e patologie senza interrogarsi sul senso e sul significato più ampio della vita umana.

In questo contesto, la psicologia ha tradito il concetto di anima, insito nella radice stessa del suo etimo “psyché” (in greco antico: ψυχή), cioè “soffio vitale”, “anima”, riducendola a mera somma di comportamenti e caratteristiche misurabili. Le teorie contemporanee, dominate da una visione traumatica e meccanicistica, si focalizzano su traumi e reazioni ambientali, piuttosto che sull’essenza intrinseca dell’individuo. Il rischio è che questa prospettiva frammenti l’essere umano in componenti disgiunti, piuttosto che riconoscere l’unità e la totalità dell’esperienza personale.

Questo, secondo Hillman, riduce l’essere umano a una sequenza di sintomi e risposte cliniche. La psicologia del trauma, in particolare, enfatizza il ruolo dei traumi infantili nello sviluppo della personalità. Questa prospettiva vede l’individuo come il risultato di eventi traumatici e delle loro conseguenze, tralasciando spesso la possibilità che vi sia un destino o una vocazione intrinseca che guida la nostra vita.

Platone e Plotino: il destino e la vocazione

La concezione di anima e destino ha radici profonde nella filosofia antica. Platone, nel mito di Er, suggerisce che l’anima sceglie un destino e una vita prima della nascita, guidata da una figura divina chiamata daimon. Questa idea implica che ogni individuo possiede un progetto innato, una sorta di mappa che guida il suo percorso esistenziale. Plotino, il grande filosofo neoplatonico, amplia il concetto, sostenendo che ogni anima seleziona il proprio corpo e le circostanze di vita in base a ciò che è necessario per realizzare il proprio destino.

Tali visioni antiche offrono una prospettiva che si oppone nettamente all’approccio psicologico moderno. Invece di vedere l’individuo come un risultato di traumi e influenze ambientali, Platone e Plotino ci invitano a considerare la nostra esistenza come una manifestazione di una vocazione profonda e predestinata.

La Teoria della ghianda di Hillman

La teoria della ghianda dello psicologo e pensatore statunitense James Hillman riprende e sviluppa queste idee antiche, sostenendo che ogni individuo possiede una “ghianda” o un’immagine innata che porta in sé il potenziale per diventare una quercia maestosa. Questa teoria suggerisce che siamo nati con un carattere e una vocazione specifici, che sono preesistenti e che determinano il corso della nostra vita. Invece di focalizzarsi esclusivamente su traumi e diagnosi, Hillman propone che il vero compito della psicologia sia quello di riconoscere e nutrire la nostra ghianda, ovvero il nostro destino innato.

Cosa che, non solo restituisce significato alla nostra esistenza, ma ci permette anche di affrontare le sfide e le difficoltà con una prospettiva più ricca e profonda. A livello pratico dunque, come si possono guarire le “ferite dell’anima”?

Guarire le ferite dell’anima 

Per elaborare un approccio terapeutico volto a guarire le cosiddette “ferite dell’anima”, un sano approccio terapeutico dovrebbe riconoscere e sviluppare la vocazione innata dell’individuo. Una volta identificata, la domanda successiva sarà “come integrare questa vocazione nella vita quotidiana?”. Quindi, occorre definire obiettivi e orientare le scelte di vita verso il compimento di tale missione.

È altresì essenziale considerare le esperienze di vita, comprese le ferite e le difficoltà, come elementi integranti del percorso verso la realizzazione del proprio destino. Le sfide della vita non sono pertanto da considerare semplicemente come ostacoli o traumi da risolvere, ma opportunità per la crescita e lo sviluppo. Accettare e integrare queste esperienze come parte del proprio percorso può promuovere una maggiore resilienza e una visione più profonda del significato della propria vita.

Infine, è fondamentale sviluppare una visione unitaria dell’esperienza personale, costruire cioè una narrativa coesa. Questo può aiutare a riconoscere la totalità della propria esperienza e a vedere le proprie ferite e difficoltà come parte di un percorso più grande e significativo.

Foto di Mabel Amber da Pixabay

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