Il denaro è uno dei nostri più grandi crucci. Sia che ne sperimentiamo la mancanza, sia che ne abbiamo in quantità. Perché e come possiamo ripristinare un rapporto equilibrato con esso?
Denaro: una “manifestazione del Divino”
Denaro. Secondo la tradizione orientale cara a Sri Aurobindo e Mère “il denaro è una forza impersonale e universale che appartiene al Divino”. Una manifestazione di abbondanza infinita, inesauribile che ci spetta per diritto di nascita. Sulla terra opera a livello concreto (sul piano del vitale e del fisico) ed è innegabile che sia una forza indispensabile per realizzare la nostra pienezza esteriore.
Se non stabiliamo un rapporto equilibrato con questa forza, essa tuttavia finirà per travolgerci.
Possiamo ritenere il denaro un “nemico” della spiritualità, in quanto emblema del materialismo o possiamo innalzarlo a unico Dio della nostra esistenza, fonte primaria del soddisfacimento del nostro ego. In entrambi i casi il nostro approccio sarà catastrofico.
Nel primo, tenderemo ad autoboicottarci inconsciamente, allontanandolo. Nel secondo, finiremo probabilmente per diventarne schiavi e vittime. Il mistico Sri Aurobindo parla di un “vincolo di debolezza per le abitudini create dal possesso delle ricchezze”. A pensarci bene, chi possiede enormi ricchezze è davvero felice? Forse sì, ma è altrettanto vero che spesso entra in una spirale di “assoggettamento” per cui nulla è mai abbastanza.
Il denaro è bene o male?
Considerata la sua natura “divina” il denaro non è qualcosa da aborrire, né qualcosa da trattenere.
Dovrebbe semplicemente fluire in linea con le leggi cosmiche, essere impiegato bene, tolto da quelle che le discipline orientali definiscono “influenze asuriche”(le forze ostili) ed essere messo al servizio della Grande Madre. Anche perché coloro che lo detengono ne sono i depositari momentanei e non i veri possessori.
Come riequilibrare il potere del denaro?
La via indicata dal sadhana (insieme di pratiche spirituali atte a raggiungere la purificazione) è quella del distacco, dell’equanimità, della rinuncia a ogni “attaccamento rajasico” (rajas è l’energia rivolta al potere terreno) verso il denaro. Le ricchezze vanno pertanto custodite con coscienza, adempiendo l’incarico “amministrativo” che la Grande Madre ci ha affidato per la crescita collettiva, “per l’ordinamento e l’allestimento veri, belli ed armoniosi di un’esistenza vitale e fisica nuova e divinizzata”.
Sembra facile…
Applicare queste “consegne” non è sicuramente una cosa facile. Ci sentiamo troppo spesso onnipotenti, titolari di poteri che in realtà non ci appartengono. Se solo iniziassimo a considerare noi stessi per quello che siamo davvero, cioè dei granelli di sabbia in confronto all’immenso, forse questi concetti non risuonerebbero così distanti. Dovremmo abbandonare il nostro egoismo, la nostra mania di accumulare, anche perché nulla è permanente. Agiamo allora in direzione del bello e del bene collettivo. “Arricchiamoci” senza farci assalire dai sensi di colpa ma cerchiamo di farlo per costruire solidi castelli, per creare lavoro, opportunità, per aiutare chi sta indietro e non per ostentare o trattenere. “Siamo chiamati all’azione non ai suoi frutti” diceva Aurobindo.
Fonte : La Madre» – Edizione italiana dello Sri Aurobindo Ashram, 1971 – Pondicherry di Sri Aurobindo.
Foto di Steve Buissinne da Pixabay
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