Quando nel 1967 esce il loro primo album “The Doors”, in realtà fanno musica già da qualche anno, anche se pochi o nessuno sembra essersene accorto. Questo LP, invece, seppure acerbo e sfrontato come la loro musica, è già un piccolo capolavoro. La voce del leader, tale Jim Morrison, è già carismatica e trascinante. Con lui una band di tutto rispetto: Ray Manzarek (tastiere), Robbie Krieger (chitarre), John Desmore (batteria). La loro musica trasmette subito emozione, turbamento, poesia, allucinazione, sesso.
Light my fire
Testimonianza di tutto ciò in “Break on through”, “Soul kitchen”, “Light my fire”, “The end”. Ed il debutto è talmente fortunato che a distanza di soli 9 mesi (siamo sempre nel 1967) il gruppo ci riprova. Esce “Strange days” e l’impressione è che qualche meditazione e qualche ricercatezza in più non avrebbero guastato. Un disco discreto: nulla più. Sicuramente al di sotto del precedente, sebbene la vena soul psichedelica sia la medesima. “Moonlight drive” (è la prima canzone composta da Morrison e Manzarek insieme), “When the music’s over” (decisamente ipnotica) e “Horse latitudes” sono le canzoni degne di nota. Morrison è davvero maestro nel recitare poesie in musica e qui ne abbiamo la prova. “Waiting for the sun” (1968) rappresenta forse una piccola delusione. Il repertorio qui offerto appare già lontano dalle origini (sebbene sia passato poco più di un anno), ma soprattutto è distante da quelle atmosfere psico-blues che incantavano il pubblico. Per rendere l’idea di cosa intendo prendiamo in considerazione “Hello I love you”: un buon successo , ma con sonorità decisamente più pop che poco piacciono ai fan. C’è poi un goffo (e perdente) tentativo di canzone antimilitaristica dal titolo “The unknown soldier”, ispirata dalla guerra nel Vietnam.E (nonostante il pubblico sostenga comunque i Doors) la crisi di ispirazione e creatività prosegue in “The soft parade”.
1969
L’anno è il 1969 e mentre l’uomo sbarca sulla luna, la loro musica è sofferente, i testi forzati e lo stile non sanno se confermarsi sul rock di tendenza o virare definitivamente verso il pop di certo più commerciale … forse … “Touch me” è un altro singolo fortunato; poi c’è “Tell all the people”, “Runnin’ blue” e poco altro. Quando nel ’70 esce “Morrison Hotel” i Doors sono in piena crisi e con loro anche il leader del gruppo. I loro show hanno assunto, ormai, la piega della continua provocazione, con Jim Morrison costantemente sopra le righe e spesso ubriaco. L’album, però, è il classico colpo di coda: quello che non ti aspetti.
Un rock d’autore
Rock d’autore, forte; e anche se i loro spettacoli sono ormai mal frequentati, canzoni come “Roadhouse blues” e “Maggie Mc Gill” lasciano il segno.E visto che ho citato i loro concerti, il doppio live “Absolutely live” del 1979, rende davvero bene l’idea di quanto i Doors dal vivo siano speciali. La platea viene come incantata dalle loro poesie e canzoni. In questo disco troviamo anche qualche novità come ad esempio la lunga e allucinata “Celebration of the lizard”, una poesia che Morrison avrebbe voluto incidere in “Waiting for the sun”, ma che aveva potuto soltanto stampare in copertina.
Il 1971 è il famoso anno nefasto. Esce “L.A. woman”, un onesto disco di rock dove brani interessanti non mancano: dalla title track a “Crawling king snake”, passando per “Riders on the story” e “Love her madly”. Eppure si parla di scioglimento, al punto che viene decisa una pausa. Il gruppo rimane a Los Angeles, mentre Morrison vola a Parigi. Ma neanche un mese dopo l’uscita del disco, Jim Morrison muore. E’ un colpo al cuore del gruppo e dei fans, dal quale i Doors non sembrano in grado di riprendersi. Non so se più per disperazione o per presunzione, decidono di confezionare un nuovo album in tutta fretta. Chissà, forse per dimostrare che il gruppo va avanti e che la mancanza di Morrison significa molto ma non la fine del gruppo. Il disco si intitola “Other voices” (1971), ma non sembra essere una grande idea. La voce di Manzarek non è quella di Morrison ed il repertorio è estremamente fiacco. Credo si possa parlare solo dell’effetto scaturito dalla morte del leader se il disco si spinge in classifica e nei riscontri del pubblico.
Full circle
Nel ’72 esce poi “Full circle”, l’ultimo tentativo di una band senza faro di rimanere in vita. Sarà il disco che farà loro capire che ormai la strada da intraprendere è ben altra. E se Morrison aveva sempre sognato un album in cui recitare le sue poesie, nel 1978 “An american prayer” lo accontenta. I tre rimasti della band confezionano questo disco per estimatori, anche se lo rovinano con le fastidiose sovra incisioni, fino a coprire la title track con l’Adagio celebre di Albinoni: peccato!
Da allora i Doors vivono nel mito e nei ricordi.
Molti gli album postumi di pezzi inediti, concerti e raccolte di successi per un’icona che più che Doors si chiama Jim Morrison.
Scrivi