Le manifestazioni contro discriminazione e odio razziale negli Stati Uniti, innescate dalla morte di George Floyd a Minneapolis, continuano ad accendersi con vigore in ogni parte del Paese. Ormai da diversi giorni le strade di moltissime città sono teatro di proteste, alcune pacifiche e altre meno, attraverso le quali la popolazione nera (e non solo) chiede a gran voce alle istituzioni il rispetto per la vita di tutte le razze e la fine delle violenze ingiustificate di cui talvolta si rendono colpevoli le forze dell’ordine. A supporto della causa dei manifestanti si stanno muovendo con forza anche molti personaggi pubblici, in particolare nel mondo dello sport, facendo leva sulla loro grande popolarità per sensibilizzare quante più persone possibile.
I primi a far sentire la loro voce, come era lecito attendersi, erano stati gli atleti afroamericani, alcuni attraverso forti dichiarazioni, altri scendendo direttamente in strada. Tra questi c’è Stephen Jackson, ex campione di basket della NBA ma soprattutto amico fraterno di Floyd, con il quale era legato fin dall’infanzia. Le sue parole, pronunciate proprio a Minneapolis durante un raduno, hanno fatto il giro del mondo e sono state rimarcate da molti suoi colleghi: “Spesso la polizia quando commette errori, la prima cosa che fa è cercare di coprirli. E per farlo tira fuori il passato di una persona per farlo sembrare un criminale, per giustificare come necessario quello che hanno fatto. Eppure quando mai un omicidio è necessario? Ma se si tratta di un nero, è approvato”. E proseguendo, sul vero e proprio crimine compiuto dall’agente Chauvin, “Non potete dirmi che quell’uomo con il suo ginocchio sul collo di George, con quel ghigno sul suo volto non volesse dire: ‘Io sono protetto’ ”.
Nella NBA, oltre ai giocatori, ad esporsi in maniera netta sono stati anche i coach delle squadre (quasi tutti bianchi) i quali, con un comunicato diramato dall’associazione allenatori, hanno espresso rabbia e disgusto per quanto accaduto, parlando della necessità di farsi sentire per fermare la persecuzione contro gli afroamericani. A tale scopo l’annuncio della costituzione di un comitato interno, guidato da alcuni dei 30 allenatori della Lega, che avrà il compito di collaborare con le autorità locali delle città, per mettere in campo iniziative utili ad educare e sensibilizzare le comunità sul tema dell’uguaglianza.
Anche dall’Europa però, continuano ad arrivare attestati di solidarietà e vicinanza alla causa. Uno dei gesti più apprezzati è stato senza dubbio quello del calciatore del Borussia Dortmund Jadon Sancho (inglese ma originario di Trinidad and Tobago) che ha indossato una maglia con la scritta “justice for George Floyd”, mostrata alle telecamere dopo aver segnato un gol. Molto significativa anche l’immagine giunta dall’Inghilterra, dove durante l’allenamento i giocatori del Liverpool si sono riuniti intorno al cerchio di centrocampo e si sono inginocchiati, in segno di rispetto per le lotte portate avanti dai sostenitori del movimento Black Lives Matter.
Polemiche invece all’interno del paddock della Formula 1. A lanciare la frecciata è stato il 6 volte campione del mondo Lewis Hamilton (anche lui inglese ma con origini caraibiche) il quale, anche per via di passate esperienze personali di discriminazione, è stato particolarmente toccato dalle violenze nei confronti di Floyd. Il 35enne britannico ha attaccato senza giri di parole colleghi e dirigenti, che a suo dire si sono volutamente astenuti dal prendere una posizione: “Dalla F1 nessun segnale, il mio è uno sport dominato dai bianchi… Vedo quelli di voi che stanno zitti. Alcuni sono anche molto famosi ma preferiscono tacere dinanzi a questa ingiustizia”. A rispondere indirettamente ad Hamilton, facendo anche ammissione di colpa per il ritardo nel commentare la vicenda, è stato il gioiellino della Ferrari Charles Leclerc, affidatosi ai suoi canali social per mostrare il disgusto per l’accaduto e ribadire l’importanza di non rimanere in silenzio ed agire contro il razzismo.
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