Dagli anni dieci del 2000 il pop americano si è popolato di un immaginario narrativo che mescola esperienza personale, allegorie e figure di pura fantasia. Un’idea musicale e lirica prima rilegata ai generi alternativi e che ora invece trova largo seguito fra un pubblico giovanile, sicuramente sdoganato da artisti come Billie Eilish. In questo quadro troviamo cantanti e musicisti che nascono e crescono in questo ambiente e che riescono a parlare alla propria generazione dall’alto di immagini cinematografiche e ammalianti, come Melanie Martinez.
Melanie Martinez cominciò a suonare indipendentemente seguendo corsi di chitarra online. Nel 2012 partecipò a un primo Talent Show televisivo per poi approdare alla terza edizione del The Voice americano. Non arrivò sul podio, ma riuscì a rendere l’esperienza la sua rampa di lancio pubblicando il singolo di debutto Dollhouse con l’etichetta Atlantic Records. Un brano che ricorda, per il contenuto video e lirico, l’estetica “goth” (alla Emilie Autumn) ma con dei connotati infantili più legati alla generazione della Martinez, all’epoca ventenne, e nutriti di elementi quasi orrorifici di angoscia e disturbo.
Con gli EP Dollhouse (2014), Cry Baby (2015) e l’album K-12 (2019) la cantante va strutturando la propria poetica dai contorti fanciulleschi ma inquieti. In particolare con K-12, un vero e proprio film musical: vestiti pastello, capelli colorati, la scuola, ma anche solitudine, angoscia, sangue. Un’immagine che matura e si evolve totalmente nell’album Portals (2023) sempre con l’Atlantic Records. Qui, Melanie Martinez propone l’immagine di una creatura aliena che vive in un mondo floreale. Un modello riproposto anche nei concerti tramite travestimenti e coreografie. È un proseguimento e non un allontanamento dalle sonorità precedenti, un ulteriore abbraccio a intrusioni di strumenti classici uniti a espedienti digitali e una vocalità quanto mai strutturata e variegata (per esempio in The Contorsionist).
All’ascolto abbiamo pattern musicali semplici e ripetitivi come nella più lineare tradizione della musica elettronica (Faerie Soirée, da Portals), oppure standard formali strofa-ritornello-bridge (Show & Tell, da K12; Caraousel da Dollhouse). Nei brani non c’è nessuno spazio per incisi strumentali, assoli o variazioni importanti, tuttavia sono cantanti da cima a fondo senza momenti morti e risultano sempre efficaci nonostante un’esposizione formale poco variegata. La centralità è tutta nella voce: altamente elaborata digitalmente con autotune, dilay, sovrapposizioni di cori, eco, raddoppi di ottava, ma un’incisività melodica mai banale, rendendo così indimenticabile più di un brano.
Nonostante la sua provenienza e crescita fra musica pop e digitale, nei suoi spettacoli live non si priva di un supporto di una band fra suoni sia analogici che elettronici, con scenografie cinematografiche e corpo di ballo annesso.
Ormai Melanie Martinez è una sicurezza nel mondo della musica pop contemporanea con all’attivo solo due album ma già diversi tour mondiali e milioni di iscritti nelle sue pagine social. Il suo immaginario onirico, filmico e a tratti estraniante è stato ben accolto fra le recenti proposte musicali e le nuove generazioni. Una musica non concreta ma allegorica, ricca di ritmi accattivanti, staccati di violini e simposi di attraenti voci femminili.
Fonte foto: profilo Facebook di Melanie Martinez
Una parte di voi va con chi avete perso.