Nel Manifesto del Surrealismo redatto nel 1924, André Breton dà una definizione innovativa e precisa del termine “surrealismo”. Lo definisce come un «automatismo psichico e puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale». Dunque non sopra il reale (come potrebbe suggerire l’etimologia della parola), ma più profondamente reale.
Non siamo nell’alta sfera della fantasia, ma nell’ima sfera dell’inconscio. Al di là dell’attività poetica, Breton è stato prima uno studente di Medicina appassionato di neuropsichiatria, poi un medico che presta servizio in ospedali psichiatrici e legge Freud. L’esplorazione della mente al di là dei meccanismi logici e razionali è il suo pane quotidiano. Per lui il tempo speso di notte in sogni non è meno importante o significativo di quello speso di giorno in ragionamenti chiari. E se doveva teorizzare un’avanguardia, questa non poteva che attingere dall’oscuro serbatoio dell’inconscio.
Il valore dei sogni e la scrittura automatica
Nel Manifesto, Breton lamenta quanto sia inammissibile che una parte rilevante dell’attività psichica come quella del sonno sia sempre stata tanto sottovalutata. «Mi ha sempre stupito l’estrema differenza d’importanza, di gravità, che presentano per l’osservatore comune gli avvenimenti della veglia e quelli del sonno. Ciò avviene perché l’uomo, quando cessa di dormire, è prima di tutto lo zimbello della propria memoria, e in condizioni normali questa si compiace di riproporgli in modo impreciso le circostanze del sogno, di privare quest’ultimo di qualsiasi consequenzialità attuale, e di far partire la sola determinante, dal punto in cui crede di averla lasciata qualche ora prima: quella ferma speranza, quella preoccupazione».
La memoria tende a restituire alla nostra coscienza solo sogni a brandelli, frammenti a cui poi tendiamo ad attribuire un significato logico. Ma secondo Breton non tutto può essere rapportato agli avvenimenti occorsi durante la veglia. Esistono frasi, spesso accompagnate da immagini, che balzano alla mente all’improvviso. Momenti talmente rari e preziosi che egli dichiara di averli voluti incorporare nel suo «materiale di costruzione poetica». É così che Breton concepisce il «pensiero parlato», che in termini letterari si traduce in «scrittura automatica»: trasferimento diretto sulla pagina del fluire ininterrotto del pensiero e delle immagini.
Il Surrealismo e l’utilitarismo borghese
In un mondo dominato dall’arida razionalità borghese, dalla massificazione e dalla produzione in serie, Breton propone prodotti letterari unici e irripetibili, che rispecchiano non solo l’unicità del soggetto ma l’irripetibilità dello stato mentale ed emozionale che il soggetto sta attraversando mentre scrive. Tale metodo di scrittura riproduce il «funzionamento reale del pensiero», che — come la psicanalisi insegna — procede per associazioni. Dà più rilevanza al fare che all’ottenere, al procedimento più che al risultato. Anche quella di Breton è una reazione avversa a quella tendenza utilitaristica tipicamente borghese che ammette l’esistenza delle cose solo a patto che servano a qualcosa. Ma i borghesi non sanno che anche i sogni hanno il loro valore pratico: ci permettono di raggiungere un «grado superiore di realtà», di avvicinarci di più ai veri noi stessi.
A proposito di Surrealismo, Dadaismo e Futurismo, Luciano De Maria nel saggio La nascita dell’Avanguardia. Saggi sul Futurismo italiano scrive: «Con l’appello alla follia, all’insensatezza, all’idiozia, all’inconscio, al sogno, con la ricerca di metodologie letterarie e artistiche non «logiche» e coerenti, l’avanguardia si oppone alla ragione pragmatistica del mondo borghese di cui svela alla fine la fondamentale irrazionalità». Infatti cosa c’è di più irrazionale che negare la parte più autentica — per quanto difficile da decifrare — della propria esistenza?
Foto di Stefan Keller da Pixabay
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