Noi italiani lo sappiamo bene: quanto più un’attività è remunerativa, tanto più è probabile che, presto o tardi, le mafie entrino nel giro e cerchino di prenderne il controllo. E’ quanto sempre più spesso, purtroppo, viene denunciato in merito al riciclaggio dei rifiuti. In particolare plastiche, rifiuti pericolosi come gli scarti ospedalieri, computer, pneumatici.
Il meccanismo con cui finiscono nelle mani della criminalità organizzata è semplice. Prendiamo ad esempio le materie plastiche. Forse non tutti sanno che, per la loro raccolta e riciclaggio, noi cittadini paghiamo una tassa. Questa tassa presupporrebbe che il rifiuto sia perfettamente tracciato, da quando viene prelevato dai cestini della spazzatura, fino a quando arriva ai luoghi preposti per il riciclaggio, situati sul territorio italiano s’intende, a quando poi ne esce trasformato in qualcos’altro. Tutto dovrebbe avvenire sotto il controllo del Sistri, poi divenuto Sitra, il sistema istituito nel 2006 per monitorare via satellite il viaggio dei rifiuti, e nel rispetto della legge italiana in materia di riciclaggio.
Invece troppo spesso accade che la tracciabilità dei rifiuti si perda nel nulla. Vengono acquistati da intermediari che ne modificano i codici, lavati e tritati in modo sbrigativo in modo da rendere irriconoscibile l’origine. E poi finiscono per imbarcarsi su navi container, destinazione Cina. Oppure passano prima per altri Paesi, dove ci sono ditte autorizzate alla lavorazione e smaltimento delle sostanze tossiche, e poi prendono il largo da lì. In realtà in Cina le leggi sull’importazione dei rifiuti ci sono e il governo si professa rigido sul loro rispetto. Corruzione e malfunzionamento dei controlli sono però ancora una realtà.
Prima di acquistare oggetti Made in China a basso costo dovremmo sempre chiederci come è possibile che quell’articolo costi così poco. Se ci fermiamo ad una valutazione superficiale è facile rispondersi che in Cina c’è tanta disponibilità di manodopera low cost. Ma la realtà è ben più complessa e scopriamo poi che qui si producono ed esportano oggetti plastici contenenti sostanze tossiche. Proprio le plastiche che compongono i giocattoli che regaliamo ai nostri bambini, le scarpe che indossiamo, gli oggetti per uso domestico che popolano le nostre case. Là dove “la manodopera costa poco” sono spesso i bambini a maneggiare e respirare queste sostanze per dieci, undici ore al giorno. Infine le acque usate per il lavaggio vengono scaricate nei fossati, impregnano il sottosuolo e le falde acquifere, la cui acqua viene usata sia per cucinare sia per irrigare le coltivazioni di prodotti designati all’esportazione. Se non si tratta di legge del contrappasso, di sicuro è qualcosa che ci va molto vicino.
La trasmissione Report poche settimane fa ha dedicato una puntata a denunciare i traffici delle ecomafie: “Il piombo, sappiamo che è uno dei metalli pesanti più in uso proprio nella produzione degli articoli hi-tech e ha un impatto sia sul sistema nervoso che anche sulla riproduzione.” A Guiyu nel Guangdong, Sud della Cina, l’80% degli abitanti passa la vita a tagliare e recuperare le componenti elettroniche e i metalli preziosi contenuti negli apparecchi che arrivano dall’Occidente e l’82% dei bambini riscontra una concentrazione di piombo nel sangue ben oltre la soglia di sicurezza per la salute.
Intanto in Italia gli impianti di riciclo chiudono perché non hanno abbastanza rifiuti e il produttore onesto che vorrebbe acquistare plastiche riciclate per i suoi prodotti si sente rispondere che non c’è abbastanza offerta da soddisfare la domanda.
Eleonora Alice Fornara
foto: morguefile.com
Per maggiori informazioni potete vedere lo streaming delle puntate di Report a cura di Milena Gabanelli e Emilio Casalini “Spazzatour” del 20/11/2011 e “Spazzatour 2” del 27/11/2011 su www.report.rai.it .
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