Nell’ambito del cinema francese dei primi decenni del Novecento vengono sperimentati e sviluppati nuovi generi che intrattengono gli spettatori più esigenti. Di ritorno dal fantastico mondo di Méliès, si prosegue per qualche anno con il genere dell’impressionismo, avanguardia che nasce in territorio francese e che in campo cinematografico occupa uno spazio temporale che va dal 1919 al 1925/1926. Louis Delluc viene considerato l’ideologo del movimento impressionista.
Delluc pone l’attenzione sugli stati d’animo dei protagonisti dei suoi film, e sceglie in tal senso di rinunciare alle creazioni fantasiose tipiche del cinema di fantasia degli anni precedenti prediligendo immagini di luoghi reali e naturali. Delluc assieme al suo amico regista Jean Epstein elaborano il concetto al quale faranno riferimento gli esponenti del movimento, ovvero la fotogenia: per fotogenia si intendeva una specifica qualità che contraddistingueva cose o persone e che poteva essere percepita e messa in luce tramite la trasformazione da qualcosa di reale ad immagine cinematografica. In tal senso, il regista non si limitava solo a rappresentare la realtà di tutti i giorni ma, attraverso la fotogenia, riusciva a cogliere quegli aspetti che vanno oltre la realtà, la percezione dei sensi e ci fanno vedere la vera essenza delle cose: non creazione di nuovi scenari, personaggi o sensazioni ma rivelazione della realtà.
La Souriante Madame Beudet di Germaine Dulac del 1923 è un altro grande esempio di pellicola impressionista. Nel film vi è un inserto: lei immagina una scena, cosa non comune fino a questo momento. Il cinema impressionista vuole manifestare in tal senso anche le impressioni interne. Per la prima volta si ha il tentativo di penetrare l’interiorità attraverso procedimenti fotografici specifici e fuori dal comune, e la bellezza del cinema impressionista consiste proprio nel buon uso della in quanto usa la fotografia. L’alterazione meccanica fotografica è relativa al ritmo del film.
In La rue del 1922 vi è un’intensificazione del montaggio causata da un’alterazione della velocità. Viene notevolmente ridotto il numero di fotogrammi e alcune volte la scena che si svolge non viene percepita dall’occhio umano. Ciò era dovuto probabilmente ad una forte volontà di sperimentazione e necessità di rendere “fotograficamente” una realtà profonda così come sono i sentimenti dei protagonisti.
Ad un certo punto l’impressionismo francese termina poiché raggiunge un culmine di sperimentazione, e dall’impressionismo si passa aldadaismo e alla riscoperta dell’inutile, del gioco, in contrasto con la politica e le azioni di vita quotidiana in generale. Tale avanguardia enfatizza l’azzeramento del senso e predilige ciò che non ha logica e irragionevole. Il cortometraggio che forse rappresenta meglio questa corrente è Entr’Acte di e con Erik Satie e René Clair del 1924. Qui le inquadrature sono senza senso, non esiste la trama e quello che emerge sembra essere tutto un grande gioco, uno sberleffo che porta progressivamente alla rottura delle aspettative che si crea lo spettatore.
Dal dadaismo si passa ben presto ad un’altra avanguardia che segnerà le sorti del cinema francese, ovvero il surrealismo, nato come evoluzione del dadaismo stesso. Qui il tema principale sono i sogni e la surrealtà, un mondo considerato più reale del reale, e dove la realtà si dispiega pienamente in tutte le sue sfumature, a differenza della prigione del mondo sensibile: il corpo viene visto come prigione della mente così come le istituzioni sono le prigioni per gli uomini. Diventa quindi necessario evadere e dare libero sfogo alle pulsioni. Qui l’inconscio c’è, esiste ma non a fini terapeutici. L’inconscio è il luogo dove si può manifestare liberamente l’individuo, nel bene e nel male.
Uno dei capisaldi del cinema surrealista, e molto probabilmente quello più famoso, è Un chien andalou, cortometraggio del 1929 di Luis Buňuel e Salvator Dalì. Buňuel stesso si occuperò della sonorizzazione dei suoi film, facendo volontariamente strane associazioni tra musica e scene rappresentate. Anche in questo caso si fatica a trovare una trama che abbia un senso logico, invece si può notare la prevalenza dell’estetica del brutto in quanto qualsiasi cosa può essere rappresentato, qualsiasi sogno che sia piacevole o meno. Il protagonista si tira letteralmente dietro con fatica tutte le incrostazioni di un’educazione culturale.
La scena più famosa è senz’altro quella dello squarcio dell’occhio della donna protagonista: il taglio che viene fatto viene messo in confronto tramite associazione di immagini al passaggio della nuvola sulla luna piena, probabilmente può riferirsi ad un accostamento simbolico narrativo.
In ogni caso rimane una scena con una forte valenza simbolica ed una delle più iconiche di quegli anni.
Dalla collaborazione Buňuel / Dalì nascono diversi film, e L’Age d’Or del 1930 è sicuramente un altro degno di nota. Il film inizialmente sembra presentarsi come un documentario sugli animali, poi andando avanti con la visione lo scenario cambia drasticalmente, portandoci in evidenza anche in questo caso la presa di posizione forte contro le istituzioni attraverso il contrasto tra istituzione umana e amore libero e senza pregiudizi, un puro urlo d’amore.
Foto di Stefan Keller da Pixabay
Ogni persona comprende e sperimenta l’amore a modo suo. Per alcuni, l’affetto riverente diventa la felicità e la ricompensa più grandi