In una società che vuole il controllo, l’impulsività è un’emozione pericolosa perché ci rende imprevedibili. Questo giudizio necessita di una ribellione costruttiva. L’anima infatti non si sottomette, non è governabile, quindi chi vuole esercitare un potere e un controllo su di lei, vuole esclusivamente reprimerla. Per farlo utilizza le categorie diagnostiche della mappa mentale e finisce per giudicare sbagliata quella che è una sua espressione naturale.
La consapevolezza è il primo passo
Bisogna assecondare la nostra natura: siamo impulsivi, emotivi? Va bene cosi. Bisogna però esserne consapevoli. Poi dobbiamo chiederci da cosa nasce questa forza e infine, capire come utilizzare questo “fuoco” interiore a nostro vantaggio. Il primo passo da fare è recuperare la sensazione e comprenderne l’obiettivo. In che modo?
L’importanza dell’ evocazione a livello akascico
Iniziamo evocando il “dio” dell’impulsività, il “nume” che serve ad innestare le immagini nella psiche, nell’akascia, (termine sanscrito che indica uno dei Cinque grandi Elementi, l’Etere, ossia l’essenza di base di ogni cosa o la Quintessenza).
L’akascia, è stata definita come una “biblioteca cosmica, universale” che serve a rimuovere paure, credenze radicate e autoboicottanti, blocchi e tensioni che impediscono la piena realizzazione di una vita felice e aderente alla propria missione esistenziale.
Parlare per immagini è un importante concetto evocativo che si è perso con l’avvento della scrittura.
La cosa era stata compresa dal Dio egizio Thot, il patrono degli scribi, cui si deve appunto l’invenzione della scrittura. Secondo la teoria ermopolitana, il Dio Thot aveva reso effettiva la creazione del mondo grazie alla parola, ma al tempo stesso Thot aveva affermato che attraverso la scrittura “l’uomo perderà il potere della parola”.
La scrittura fa perdere infatti la memoria, l’immagine e il potere evocativo della stessa.
Questo accade perché l’uomo preferisce tirare fuori le informazioni solo attraverso la mappa mentale di ciò che conosce, che sa già, piuttosto che trovarsi in relazione con il mistero.
Due approcci diversi, due risultati opposti
Solitamente, quando cediamo a qualsiasi emozione forte, sprigioniamo la nostra vera essenza, siamo più liberi e allineati con la nostra anima, ma la cosa spaventa sia noi stessi, sia altri.
Come relazionarci verso chi considera l’impulsività “sbagliata”? Le strade sono due: o ci consideriamo vittime o la trasformiamo in una risorsa.
Nel primo caso, secondo la visione sciamanica, finiamo per perturbare il “dio” dell’impulsività e questa emozione ci schiaccerà.
Nel secondo caso, l’impulsività diventerà una preziosa alleata.
Per riuscirci, dobbiamo innanzitutto comprenderla in tutta la sua essenza, lasciarla fluire e vedere cosa succede. Proviamo a guardarla con lucidità, quando siamo calmi, mai quando siamo agitati: perdiamo il controllo? Bene. Poi chiediamoci “cosa significa perdere il controllo”? Evochiamo il momento in cui siamo impulsivi e vediamo quali immagini produce.
Se osserviamo questi momenti in maniera lucida, ci renderemo conto che l’impulsività è una barca che ci conduce in un altro mondo, in una dimensione quasi “onirica”, in cui ci allontaniamo dalla mente, dalla morale, dal controllo, dal desiderio di potere, per fluire in un’esperienza puramente estetica e naturale.
Per non farci travolgere dobbiamo tuttavia chiederci “siamo pronti per il viaggio”? In questo caso, essere consapevoli è fondamentale.
L’importanza della meditazione
La meditazione serve ad allenarci, a prepararci. Essa lavora sulle immagini, sulle visualizzazioni di ciò che accadrà e quali dinamiche si sviluppano quando siamo nel vortice dell’impulsività.
Di conseguenza, quando ci arriva la sua “chiamata”, se siamo pronti, se ci rendiamo conto che non è dettata dall’Ego, accogliamola con fede, armiamoci dell’“ascia sacra” e partiamo senza paura, resistendo alla tentazione di voltarci indietro.
Magari avremo bisogno di farci aiutare da un “traghettatore” come Hermes o Ecate, che ogni sera ci prende nel suo abbraccio e ci porta nel regno delle ombre, nel mondo dei sogni. Importante ricordare che quando si passa da una dimensione all’altra non bisogna mai avere esitazioni, altrimenti si fa la fine di Orfeo, si resta intrappolati fra i due mondi e ci si ammala, perché entrano il gioco il pentimento o il senso di colpa.
Se invece ci rendiamo conto che l’impulso è frutto di una sollecitazione esterna che ha “punzecchiato” il nostro Ego, meglio non viaggiare.
In questo caso, diciamo in modo assertivo “non sono pronto/a” oppure “devo stare ancora nel mondo della mente”.
A cosa serve la barca dopo che avremo compiuto il viaggio?
Dopo che avremo raggiunto quei luoghi che abbiamo necessità di visitare per capire, rinforzarci, curarci, potremo seppellire l’ascia perché non ne avremo più bisogno, perché avremo acquisito la consapevolezza dei nostri stati d’animo.
Conclusioni
L’impulsività non è una malattia e non è sbagliato essere impulsivi. Purtroppo buona parte della psicologia “desacralizzata” o di altre tecniche di mindfuless ci spingono a reprimerla. Questo ci conduce ad un processo anestetico, che ci impedisce di trasformarla e coltivarla nella maniera più sana. Mettiamo dunque da parte ogni giudizio.
Foto di Fifaliana Joy da Pixabay
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