Il primo turno delle elezioni presidenziali austriache ha visto il trionfo di Norbert Hofer, candidato del partito dell’estrema destra xenofoba Fpoe, con il 35% dei voti. Il 22 maggio prossimo, sfiderà al ballottaggio il candidato dei verdi Alexander Van der Ballen, giunto secondo con il 21%, in una consultazione che, per la prima volta nella storia della repubblica austriaca, vedrà assenti gli esponenti dei partiti tradizionali, il socialista e il popolare-cattolico.
Entrambi i candidati di quest’ultimi partiti, attualmente al governo in quella che era chiamata “la grosse koalition” non sono andati oltre l’11% a testa: una débacle assolutamente senza precedenti. Indipendentemente da quelli che saranno i risultati del ballottaggio, il successo del Fpoe, il partito un tempo guidato dal neonazista Jorg Haider è in sintonia con l’avanzata dei partiti di estrema destra già registrata in altri paesi dell’UE, come il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, in Francia; Alternative fuer Deutschland della signora Frauke Petry, in Germania; l’Unione civica ungherese di Viktor Orbán; il PVV di Geert Wilders, nei Paesi Bassi, e così via.
Un’ondata che non può non essere conseguente all’incremento esponenziale del fenomeno migratorio registrato in Europa in questi ultimi anni, conseguente ai conflitti nel corno d’Africa, in Afghanistan, in Iraq ed in Siria e al disagio del cittadino europeo nei confronti dell’incapacità percepita nei confronti dei governi in carica di risolvere tale immane problema. A nulla è valso, nella nazione danubiana, la posizione, assunta recentemente dal governo di Vienna, di sospendere le clausole del Trattato di Shengen e di dichiararsi contrario ad un’accoglienza illimitata.
E’ indicativo, poi, che al secondo posto, nelle preferenze degli elettori austriaci, si sia classificato il partito dei verdi, cioè una formazione che, sul piano europeo, trova molte affinità con gli spagnoli di Podemos e con Syrizas del greco Alexis Tsipras, che tanto europeisti non sono.
Di diverso parere, almeno apparentemente, si sono dimostrati gli elettori di un paese come la Serbia che chiede da tempo di entrare a far parte della UE. Qui il Partito del Progresso di Alexander Vucic, europeista ma comunque conservatore, si è aggiudicato la maggioranza assoluta in Parlamento, con 150 seggi su 250, in una campagna basata sull’ingresso del paese balcanico nella UE. Non ha avuto particolare successo, invece, la campagna aggressiva del partito ultranazionalista di Vojislav Šešelj , contrario alla UE e favorevole a una più stretta alleanza con la Russia, pur conseguendo l’8% dei voti che gli permettono di tornare in Parlamento.
E’ un voto di difficile lettura, tuttavia, quello della Repubblica Serba, alla luce della situazione attuale, che vede il paese balcanico sulla rotta dei migranti proveniente da Siria-Turchia-Grecia-Macedonia e ora in difficoltà per i “muri” eretti od erigendi, da parte di Ungheria ed Austria. Probabilmente, l’elettore serbo vede nella UE l’unico aiuto possibile alle sue difficoltà economiche e di accoglienza.
Mentre il cittadino europeo, dunque, si domanda “che fare?” per risolvere il problema migranti e si affida all’imbonitore di turno, il presidente americano Barack Obama ad Hannover, in una conferenza stampa congiunta tenutasi al castello di Herrenhausen, si è espresso molto chiaramente su quale sia la soluzione giusta, affermando con disarmante sicurezza che, sull’emergenza migranti, la cancelliera Angela Merkel è «dalla parte giusta della storia».
Forse perché la stragrande maggioranza dei migranti sono i siriani del fronte democratico anti Assad, dei quali gli Stati Uniti hanno cominciato a lavarsi le mani e verso i quali hanno un debito di coscienza?
di Federico Bardanzellu
Fonte foto: Getty
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