Incertezza per diritti e obbligazioni a causa “blocco coronavirus”

Con la chiusura precauzionale di tutti gli uffici giudiziari ed amministrativi su tutto il territorio nazionale restano letteralmente “appesi”, senza termini futuri certi di definizione, tutti i giudizi e i procedimenti in corso.

Al momento, non vi è infatti possibilità di conoscere i tempi di fissazione di nuove udienze per proseguire le azioni di accertamento dei diritti nelle sedi dei Tribunali civili e di conoscere la sostanza delle ragioni generali a tutela delle proprie posizioni giuridiche.

Anche le consultazioni di carattere amministrativo sono state sospese sine die.

Questa inevitabile condizione di “stallo” generale arreca comprensibile preoccupazione nei cittadini, al momento non in grado di vedersi garantire neanche la continuità dei consueti servizi e senza sapere come comportarsi con fornitori titolari di contratti di abbonamento da tempo sottoscritti. 

Neanche dal punto di vista informativo si riesce a fare chiarezza sulla possibile sospensione dei pagamenti delle bollette di elettricità, gas, acqua, canone RAI e rifiuti (stranamente non si parla di telefonìa con ADSL per internet, laddove la necessità di lavorare da casa lo ha trasformato in un servizio essenziale) per famiglie e imprese.

Il serrato susseguirsi dei decreti governativi emergenziali che hanno progressivamente esteso la zona rossa su tutto il territorio geografico nazionale lascerebbe spazi interpretativi che, di fatto, non offrono risposte attendibili.

Tuttavia, applicando le regole di interpretazione più logica, sembrerebbe che le bollette che ci riguardano tutti restino sospese fino al 30 aprile 2020 per effetto dell’estensione a tutti i Comuni dei criteri inizialmente dedicati alla originaria “zona rossa” del nord Italia. 

In realtà, il decreto affidava all’ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) il compito di dare attuazione a detta sospensione temporanea delle bollette per le aree interessate, per poi incaricarla di stabilire le successive le modalità di pagamento e disciplinare le modalità di rateizzazione delle somme nelle fatture e negli avvisi di pagamento sospesi.

Ma, vista l’incertezza del caso, sarebbe consigliabile saldare queste utenze non oltre il 3 aprile 2020 che è il termine previsto per il distacco dei clienti morosi che decorreva dal 10 marzo 2020, fermo restando che alcune aziende (come l’Acea) sono andate direttamente incontro al consumatore con iniziative autonome volte a tutelare le fasce più disagiate.

In ogni caso, è utile sapere in generale che la legge prevede la verificazione di casi di questo tipo e favorisce la tutela economica del contraente più debole che di regola è il consumatore.

Esiste innanzitutto la possibilità di risolvere (ovvero sciogliere) il contratto per eccessiva onerosità della prestazione come prevede l’art.1467 del codice civile, ove è stabilito che “Nei contratti ad esecuzione periodica, continuata o a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, la parte che deve eseguire tale prestazione può chiedere la risoluzione del contratto…”.

Quindi, esclusivamente nei contratti ad esecuzione periodica, continuata o a esecuzione differita (ma non nei contratti aleatori, come l’assicurazione), qualora venga dimostrato che una delle prestazioni, a causa di eventi straordinari ed imprevedibili (come epidemìe, calamità naturali, guerre) sia divenuta troppo onerosa dal punto di vista economico per la parte che deve eseguirla, la stessa può ottenere lo scioglimento del contratto o la riduzione del prezzo a condizioni contrattuali più eque parametrate alle contingenze legate alla eccezionalità degli eventi.

E’ anche prevista la specifica disciplina del caso in cui, proprio in tema di obbligazioni, si prevede l’ipotesi dell’“Impossibilità sopravvenuta della prestazione” ed ove, nell’art. 1463 del codice civile è stabilito che: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”.

Per sciogliere il contratto, possono distinguersi diversi livelli di impossibilità, due  in particolare: 

  • l’impossibilità temporanea (art.1256 secondo comma cod.civ.) che prevede l’esecuzione della prestazione soltanto quando essa tornerà ad essere possibile e così di conseguenza l’altra parte dovrà eseguire la propria  obbligazione soltanto al momento della cessazione della causa che ha provocato l’impossibilità (e come ci si augura in questo momento in attesa della diminuzione del contagio da Covid 19) ;
  • l’impossibilità parziale (art. 1464 cod.civ.), ovvero quando la prestazione di un contraente, in caso di obbligazioni divisibili, è divenuta impossibile soltanto in parte e quindi, in tal caso, l’altra potrà vantare il diritto alla corrispondente riduzione della sua prestazione, potendo anche recedere dal contratto medesimo qualora non sussista più un apprezzabile interesse all’adempimento parziale (e come probabilmente avverrà in diversi settori a causa della diminuzione o trasformazione del traffico lavorativo per effetto del blocco delle attività determinato dal contagio da Covid 19).

Al momento, l’emergenza economica si affianca a quella sanitaria, facendo scattare meccanismi di autotutela da parte dei cittadini in relazione alle conseguenze determinate dai decreti contenitivi del governo che hanno letteralmente ridotto ai minimi termini i traffici commerciali e tutti i loro naturali indotti professionali.

La chiusura totale delle attività scolastiche (comprese le Università), sportive (compresi i campionati e tutte le gare in genere) e ludiche (compresi ristoranti, sale cinematografiche e teatrali) ha determinato l’automatico fermo dei numerosi cicli produttivi, costringendo le autorità finanziarie, bancarie ed economiche a sospendere i pagamenti di imposte, tasse, rate di mutui, stipendi, canoni di affitti ed altro. 

Ci si domanda, quindi, se si è autorizzati a chiedere la legittima sospensione del pagamento dei canoni di locazione commerciale ove si esercitano anche le attività professionali, almeno fino alla cessazione dello stato di pandemia, così evitando di essere assoggettati alla procedura di sfratto per morosità, sempre ferma restando la possibilità di proporre la rinegoziazione del canone in virtù dei principi di solidarietà e reciproca buona fede.

In tal caso, a giustificazione della richiesta, possono ben sopperire le norme sopra specificate a fronte della evidente causa di forza maggiore che impedisce il regolare adempimento delle obbligazioni reciproche dedotte nel contratto di locazione.

Più delicata è la questione dell’obbligo al mantenimento dei figli minori che deve essere mantenuto anche in caso di contrazione del reddito in capo al genitore che è tenuto a pagarlo: difatti, la peculiare natura di detto assegno impone la necessità di dar luogo ad ogni possibile sforzo per reperire le somme stabilite nei provvedimenti giudiziari al fine di garantire ogni necessità di cui i figli minori possano aver bisogno.

Resteranno infatti immutate, al riguardo, le sanzioni civili e penali previste dalla legge in caso di violazione di detto peculiare debito volto alla tutela oggettiva dei minori, protetta in via generale dall’ordinamento costituzionale e civile.

Sempre in detta ottica, al minore debbono essere garantiti i fondamentali diritti di frequentazione da parte di entrambi i loro genitori, essendo l’affidamento condiviso di essi previsto e garantito dalla legge, che impone loro il dovere di seguirli in ottica di piena bigenitorialità paritaria, anche di termini di tempo materiale di dedizione ai piccoli.

Solo in particolari eccezioni, peraltro sempre più rare (come in caso di stupefacenti o violenza privata), il figlio minore può essere affidato in via esclusiva ad uno dei due genitori oppure ai nonni o ai Servizi Sociali, fermo restando il diritto del genitore non affidatario di poterlo vedere ugualmente, se pur con criteri e limiti fissati dal giudice.

Solo esclusivamente in detto ultimo caso si può infatti parlare di mero “diritto di visita”.

La regola generale della condivisione bigenitoriale prevede invece la modulazione percentuale concordata, o imposta dal giudice, dei tempi e dei modi di frequentazione dei bambini in termini di miglior possibile distribuzione delle risorse del papà e della mamma, basate sulla buona volontà e disponibilità dei genitori, sempre invitati e tenuti a distribuirsi equamente tra le loro occupazioni e il senso di responsabilità verso la cura e l’educazione dei figli.

La modificazione delle abitudini necessitata dalle misure di prevenzione dalla pandemia non facilita la frequentazione condivisa dei figli minori, soprattutto nei casi di conflittualità tra genitori in corso di causa.

Ma la continuità di frequentazione genitoriale da parte di quello dei due che non beneficia della collocazione prevalente del figlio minore non deve essere mai interrotta al fine di garantire ai piccoli la serenità e l’equilibrio nella loro delicata ed importantissima fase di crescita.

Pertanto, in deroga alle disposizioni limitative degli spostamenti generali delle persone, già nel decreto c.d. “Io resto a casa” dell’8 marzo 2020, due giorni dopo è stato specificato che: “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o di divorzio”, così facendo rientrare la frequentazione genitoriale come disposta dei provvedimenti di famiglia tra le “situazioni di necessità” previste dall’art.1 del decreto medesimo, escludendone quindi ogni sospensione.

Vi è già un precedente giudiziario sul punto, essendosi subito pronunciato positivamente a favore di un padre il Tribunale di Milano in data 11 marzo 2020, in un caso ove una madre, contravvenendo agli accordi separativi omologati, si era temporaneamente trasferita altrove con il figlio minore, così ledendo illegittimamente il diritto dell’altro genitore di poter liberamente frequentare il suo bambino.

E quindi, una volta munito di idonea autocertificazione con allegato il provvedimento di separazione, di divorzio o di affidamento condiviso del figlio minorenne, ogni genitore non collocatario preferenziale potrà andare a prelevarlo presso il comune di residenza e condurlo con sé nella propria abitazione, nel pieno rispetto dei rispettivi tempi di permanenza previsti presso ciascun genitore.

Con questo provvedimento, per concludere, il Tribunale ha correttamente tutelato i figli minori perché ha inteso ribadire la prevalenza della genitorialità condivisa a fronte di ostacoli, come le chiusure in ambiti regionali per epidemia, in questo caso superabili in nome di un interesse superiore di natura familiare. 

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