La Corte Costituzionale ha depositato la sentenza sul conflitto di attribuzione tra Giorgio Napolitano e i pm di Palermo nella quale si dichiara che: “Il Presidente della Repubblica deve poter contare sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni, non in rapporto ad una specifica funzione, ma per l’efficace esercizio di tutte”.
La distinzione tra intercettazioni dirette, indirette e casuali è irrilevante secondo la Consulta e l’inutilizzabilità delle intercettazioni del Capo dello Stato “può connettersi anche a ragioni di ordine sostanziale, espressive di un’esigenza di tutela ‘rafforzata’ di determinati colloqui in funzione di salvaguardia di valori e diritti di rilievo costituzionale”.
Secondo la sentenza “è indispensabile che il Presidente affianchi continuamente ai propri poteri formali, espressamente previsti dalla Costituzione, un uso discreto di quello che è stato definito il ‘potere di persuasione’, essenzialmente composto di attività informali”. E “le suddette attività informali, fatte di incontri, comunicazioni e raffronti dialettici, implicano necessariamente considerazioni e giudizi parziali e provvisori da parte del Presidente e dei suoi interlocutori. Le attività di raccordo e di influenza possono e devono essere valutate e giudicate, positivamente o negativamente, in base ai loro risultati, non già in modo frammentario ed episodico, a seguito di estrapolazioni parziali ed indebite”.
Secondo Antonio Ingroia la sentenza darebbe al Capo dello Stato un ampliamento tale di poteri da mettere a rischio “l’equilibrio dei poteri dello Stato”. Il Procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, ha invece detto: “Leggeremo con attenzione le motivazioni della Consulta e ci adegueremo alle sue direttive”.
di Redazione
foto: adiantum.it
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