Luca Serianni ha insegnato per vari decenni Storia della lingua italiana all’Università La Sapienza, è coautore del Vocabolario della lingua italiana Devoto-Oli ed è socio dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia dei Lincei.
Intervistare Mister Italiano è per me assai coinvolgente. Sono stata una sua appassionata studentessa e conservo ancora gelosamente gli appunti presi durante memorabili lezioni di grammatica storica, in un’aula gremita di persone. La seduzione esercitata dall’oratoria lucida e da uno speciale sense of humour del professor Serianni era totale.
Prof, Lei sa che alla Sapienza era una specie di divinità per noi studenti, vero?
Addirittura una divinità! Diciamo che ho sempre avuto un buon rapporto con gli studenti, perché insegnare m’è sempre piaciuto e perché gli studenti, a qualsiasi età, sanno infallibilmente riconoscere chi li tratta con rispetto (Maxima debetur pueris reverentia diceva Giovenale, sia pure in altro senso) e chi si impegna nel proprio lavoro.
Caro Prof, la nostra bella lingua non gode di ottima salute. Il vocabolario adoperato nella lingua parlata e nella lingua scritta è sempre più povero e banale. A scuola noi insegnanti fatichiamo sempre di più per farci comprendere da studenti che hanno un bagaglio lessicale minimo (per tacer del resto). Lei pensa che sia una strada senza ritorno?
Spero proprio di no; ma è vero che l’arretramento del possesso dell’italiano scritto è allarmante. La scuola continua ad essere il luogo in cui si costruisce, tra l’altro, l’educazione linguistica degli alunni e il momento centrale è rappresentato dalla secondaria di primo grado. Forse bisognerebbe insistere sempre di più sulla lettura di testi di vario tipo (non solo quelli letterari, dunque) e nelle relative operazioni di smontaggio, a partire dall’esercizio del riassunto. Il problema è il tempo, lo so: ma si potrebbe ridurre la parte dedicata alla grammatica teorica; l’analisi grammaticale e l’analisi logica, in particolare, sono aduggiate da tassonomie esasperanti e talvolta fini a sé stesse. Qual è l’utilità di far studiare il complemento di colpa e quello di pena? O anche insegnare la differenza fra il complemento d’agente e di causa efficiente (in italiano, non in latino)? Potenziare il lessico e la formazione delle parole ha un risvolto importante nell’arricchire la padronanza della lingua: l’aggettivo di relazione di fegato è epatico non fegatoso e dacavallosi hanno, a seconda dei contesti, ippico, equino, equestree anche il più raro cavallino; una vocestentorea è una voce che si ode appena oppure è chiara e forte? Ecco: sono corrispondenze se significati non troppo impervi, che mi piacerebbe fossero familiari a tutti i dodicenni.
Il web è infestato da sgrammaticature, orrori ortografici, violazioni della sintassi. Lei che rapporto ha con la rete e con i social networks?
Personalmente nessuno: come produttore mi limito alla posta elettronica (che mi dà già parecchio lavoro) e, come utente passivo, navigo nella rete, alla ricerca di dati e notizie. La rete è una straordinaria risorsa, sia chiaro: ma l’abuso che i più giovani (e i meno giovani) ne fanno, sottraendo il tempo ad altre attività, non solo culturali in senso stretto, è dannoso. Anche il vino è una straordinaria bevanda, ma non è un buon motivo per tracannarne una bottiglia al giorno: Senza contare il fatto, gravissimo e deprimente, delle bestialità e delle cattiverie che l’utente, protetto dall’anonimato, scarica nei social, in proprio o condividendo con i famigerati “I like” i deliranti messaggi postati da altri.
Prof, Lei ha un “libro del cuore”? E quali sono stati i Suoi fari culturali?
La deluderò; la mia risposta è prevedibile, perché i miei libri del cuore sono i classici: I promessi sposi, accostati nella seconda infanzia, le poesie di Orazio, incontrate al liceo e, soprattutto negli anni più maturi, la Commedia di Dante, un grande libro che, in particolare nella poesia del Paradiso, è davvero un testo “riservato a un pubblico adulto”. Quanto ai “fari culturali”, sono molti: letture, ma anche incontri fatti con tante personalità, in tutto il corso della mia vita. La cultura è fatta in primo luogodal confronto con gli altri, che possono essere i grandi del passato, certamente, ma anche i contemporanei che ci capita di conoscere e che ci arricchiscono di esperienze e di stimoli.
Prof, tre consigli concreti ad un docente di italiano che a fatica riesce a convincere i propri studenti a leggere?
Sono consigli che ogni insegnante, ne sono certo, già applica: ridurre le imposizioni (specie nella secondaria di primo grado): meglio un libro banale scelto dallo studente, ma letto con interesse e curiosità che un grande classico subito di malavoglia; evitare, nelle letture assegnate per le vacanze, di chiedere, alla riapertura autunnale, una ricerca scritta (molto meglio sollecitare un’esposizione orale davanti alla classe, che naturalmente l’insegnante verificherà prima dell’esecuzione, sulla base di una semplice scaletta preparata dall’alunno); puntare, soprattutto nella secondaria di secondo grado, sulla qualità invece che sulla quantità: studiando Petrarca, potrebbero bastare quattro sonetti, una canzone e una sestina, ma letti come si deve, cercando di entrare nell’officina del poeta, così centrale nella storia della lirica occidentale ma per tanti aspetti così distante dal nostro sentire (e anche dal nostro sentimento della poesia).
Che cosa porterebbe con sé su un eremo?
Il Vangelo: che è un libro rivelato per il credente, ma è anche un grande classico e un grande libro di poesia: dunque un testo che non ci si stanca mai di leggere. Si tratterebbe, del resto, di una lettura quanto mai adatta ad un “eremita”, non trova?
Che cosa vuol fare da grande il professor Serianni ?
Cercherò di continuare a fare, magari con un dosaggio diverso, quello che ho sempre fatto (anche perché è difficile cambiare pelle): studiare, scrivere, intervenire sui problemi della scuola dei quali, da qualche tempo, mi sono occupato a vario titolo.
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