12 novembre 2003, Nassiriya, Iraq
Ore 10:30 locali. Un camion carico di esplosivo si lancia a tutta velocità sulla base Maestrale in Iraq, durante la missione Antica Babilonia. Tra le vittime, 19 italiani. Una strage che i sopravvissuti, le vedove, i figli e gli amici delle vittime rivivono ancora oggi. Tra i superstiti, Pietro Sini, 55 anni, oggi carabiniere in congedo, ricorda quegli interminabili minuti trascorsi a caricare in spalla i corpi dei colleghi rimasti intrappolati nella base subito dopo l’esplosione.
Al suo rientro in patria, una medaglia d’oro ad aspettarlo, quale vittima del terrorismo. Un’onorificenza che a distanza di anni l’ex-appuntato decide di rifiutare, restituendo la medaglia al comando generale dell’Arma il 12 novembre 2018, proprio in occasione del quindicesimo anniversario dell’attentato. Oggi lo Stato gli chiede un risarcimento di € 1458, 01 per il pagamento del conio. InLibertà ha voluto ascoltare le parole di Pietro e le ragioni del suo gesto.
Lei è arrabbiato con il corpo dell’Arma e con lo Stato Italiano, perché? Cosa è successo in seguito alla missione Antica Babilonia?
“Rientrato in Italia, dopo la missione a Nassiriya, sono stato riformato con un’invalidità pari al 25%,percentuale che garantisce ben pochi benefici. Negli anni successivi ho chiesto invano di poter essere mandato a visita, tenendo conto dell’eventuale intercorso aggravamento delle mie condizioni psico-fisiche. Questa possibilità non è mai arrivata, mi hanno sempre risposto di attendere nuove normative in fase di valutazione. Nel frattempo ho sempre dovuto provvedere di tasca mia alle spese legali e medico-legali, nessuna assistenza psicologica, né a me né alla mia famiglia.
Dopo anni di richieste e di attese, ho deciso di gettare la spugna, restituendo la medaglia d’oro ricordo quale vittima del terrorismo, in segno di protesta. Mi sono preoccupato di riconsegnare il bene personalmente, chiedendo loro di prendere atto della mia volontà:io non volevo più rappresentare né lo Stato italiano né l’Arma dei carabinieri, non volevo più quei titoli. Sono passati 8 mesi e non ho mai ricevuto una telefonata né una lettera da parte loro. Trovo ancor più assurdo che in questi mesi di silenzio e di indifferenza io abbia sempre avuto a mia completa disposizione un autista con auto privata in occasione di ogni cerimonia presso la quale venivo invitato”.
L’unica risposta che riceve dopo otto mesi è un atto di notifica nel quale le viene richiesto il pagamento del conio, è così?
“Esattamente. Il 4 luglio mi presento presso la caserma di Sassari per ritirare un atto nel quale si fa presente che la spesa complessiva sostenuta dal Ministero dell’Interno per l’acquisto della medaglia d’oro e per il diploma corrisponde a € 1458,01 ed io sono tenuto a risarcirli tutti. Sarebbe giusto che io pagassi qualora avessi danneggiato quell’onorificenza, ma io non l’ho distrutta, non l’ho buttata, mai mi sarei permesso: quella medaglia è un bene dello Stato italiano, che oltretutto ricorda la vita dei miei colleghi ed amici.
Mi chiedo se sia questa la paga che conferiscono alla divisa blu, a chi per trenta anni l’ha indossata con onore, rischiando la propria vita e rappresentando con orgoglio il nostro tricolore, è questo il riconoscimento per chi ha riportato in patria lo scudetto italiano ancora intriso di sangue? Forse per alcuni tutto ciò è normale, per loro che sono dei burocrati, non per me che l’ho vissuto sulla mia pelle”.
C’è qualcosa che oggi vorrebbe dire al popolo italiano e al nostro Stato?
“Io mi rivolgo a tutti i genitori, alle mamme, ai padri, ai fratelli, agli amici che hanno qualcuno nell’Arma. Oggi è toccato a me, domani potrebbe accadere a qualcun altro, per qualsivoglia motivo. Non sto cercando visibilità, vorrei evitare che qualcuno si sentisse solo ed abbandonato. Io ho speso circa € 180 in raccomandate, nel tentativo di raggiungere i vertici, i politici; più volte ho scritto ai signori dell’Arma, all’ex Presidente del Consiglio e all’ex presidente del Parlamento Europeo, ai Ministri. Io chiedevo loro di poter essere ricevuto, chiedevo loro un incontro, ma mai nessuno ha risposto ai miei appelli. Non ho richiesto onorificenze, ho solo chiesto di non essere lasciato solo”.
Lei dichiara di sentirsi un cittadino scomodo, perché?
“Come carabiniere in missione, che ha vissuto la guerra, credo di poter rappresentare una figura scomoda, si. Ho avuto modo di provarlo durante il processo penale volto ad accertare la colpevolezza e la responsabilità dei vertici nella strage di Nassiriya: la mia testimonianza ha contribuito a riconoscere l’attentato del 12 novembre 2003 come una strage che si poteva evitare, che doveva essere evitata. Questa ormai non è più una novità.
Ancora oggi mi sembra di sentire le urla disperate dei miei compagni, di farmi largo tra la polvere e le macerie; come una lampadina, il mio cervello si accende e si spegne, rivivendo quotidianamente quegli inenarrabili momenti; alzo la mano per salutare amici colleghi, per poi tornare e trovare più carne che persone. Io ero solo in quei lunghi minuti, molti dei miei colleghi hanno preferito aspettare fuori, avevano paura di rientrare, e non li biasimo, la nostra caserma non c’era praticamente più. Ma io ho solo fatto il mio dovere, da militare, da uomo, da amico, da cittadino italiano”.
Una lettera aperta
“Oggi sento la gente vicina, ricevo messaggi privati da parte di gente che non ho mai incontrato, che pure sentono di scusarsi a nome dello Stato italiano, soprattutto da parte di mamme che hanno figli nel corpo dei carabinieri o dell’Esercito italiano. Ricevo offerte in denaro, anche da parte di colleghi in giro per il mondo impegnati in qualche missione militare, vogliono contribuire al pagamento del conio. Chiaramente questi gesti mi riempiono il cuore di gioia. Ed io mi sento di ringraziare tutto il popolo italiano per questa inaspettata solidarietà.
Cari signori del Governo e dell’Arma, cari Ministri, io non farò ricorso, il conio verrà pagato da tre donne, tre vedove che ancora piangono i propri compagni persi a Nassiriya. Pagheremo la medaglia d’oro, ma la vogliamo indietro. Questa verrà fusa e dal materiale nascerà una croce d’oro in cui faremo incidere la data “12 novembre 2003”, infine chiederemo al nostro Papa Francesco di poterla custodire, in memoria di quelle vittime, nostri fratelli”.
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