Questa settimana, per InLibertà.it, intervistiamo con grande piacere ed onore la professoressa Anna Oliverio Ferraris.
Anna Oliverio Ferraris è dal 1980 professoressa ordinaria di Psicologia dello sviluppo presso l’Università “La Sapienza” di Roma. È stata membro della Consulta Qualità della Rai e del Comitato Nazionale di Bioetica. Ha tenuto numerose conferenze e organizzato corsi di formazione. Psicoterapeuta e scrittrice, è autrice di numerosi saggi, articoli scientifici e testi scolastici in cui affronta i temi dello sviluppo normale e patologico, dell’educazione, della famiglia, della scuola, della formazione, della comunicazione in contesti diversi, del rapporto con tv e nuovi media, delle dinamiche identitarie nella società contemporanea.
La professoressa Ferraris ha partecipato e continua a partecipare a numerosi convegni culturali e conferenze, sia in Italia che all’estero. Ha organizzato e partecipato in qualità di docente a corsi di formazione sui problemi della crescita, i nuovi media, il disadattamento, il bullismo, i fattori protettivi e il recupero, l’adolescenza, la devianza minorile, la pedofilia, l’adozione, la comunicazione in classe e in famiglia, rivolti a insegnanti, pediatri, psicologi, psicoterapeuti e associazioni di genitori. E’ stata collaboratore fisso per molti anni del Corriere Salute (Corriere della sera). Ha diretto la rivista “Psicologia Contemporanea”. Attualmente collabora con “La scuola dell’infanzia”, “Vita dell’infanzia”, “Prometeo”, “Mind” e, su facebook conduce la rubrica periodica “Gli anni della crescita”.
Professoressa Ferraris, parliamo di donne, Oggi al centro dell’attenzione (purtroppo) a causa di continui efferati fatti di violenza. Come giudica questo aumento esponenziale e gravissimo di questo fenomeno?
Si tratta di uomini impreparati all’emancipazione femminile. Non riescono ad avere un rapporto paritario con le donne. Sono ancora legati ai vecchi schemi patriarcali che considerano la donna sottomessa e di loro proprietà (non dimentichiamo che il delitto d’onore fu abrogato in Italia soltanto nel 1981). Vogliono controllarla ma non essere controllati. Svalorizzano le donne per sentirsi superiori. Hanno difficoltà a gestire le proprie emozioni e se contraddetti reagiscono con la violenza. Dietro alle esibizioni di autorità e di prepotenza si intravede la mancanza di autonomia: molti di questi uomini si aspettano consciamente o inconsciamente che la donna si prenda cura di loro come faceva la mamma quando loro erano bambini. Senza una donna si sentono persi e diventano violenti perché temono di poter essere lasciati o meno amati.
Come possiamo educare i figli maschi al rispetto dell’altro sesso?
E’ una educazione che inizia nella prima infanzia. I bambini piccoli non hanno pregiudizi sessisti ma li assimilano facilmente se li incontrano nel loro ambiente di vita. E’ così che gli stereotipi si trasmettono da una generazione all’altra. La relazione che i genitori hanno tra di loro è un modello di riferimento forte: i bambini si ispirano ai comportamenti di papà e mamma e tendono a riprodurli. Fondamentale è l’educazione emotiva, sia in famiglia che a scuola. Si parla delle emozioni, le si riconosce, si impara a esprimerle, a canalizzarle, a tenerle sotto controllo. Molte difficoltà nella vita di coppia sono dovute all’analfabetismo emotivo – più frequente negli uomini che nelle donne – che genera dei blocchi della comunicazione e lascia i conflitti irrisolti. Bisogna educare al rispetto dell’altro e al senso di responsabilità. Nel quotidiano i maschi devono essere abituati a contribuire come le femmine alle attività domestiche e non esserne esentati come avviene ancora in molte famiglie italiane. Infine, è bene non consentire che vedano qualsiasi tipo di spettacolo e videogioco violento (dove spesso le vittime sono le donne) da cui, soprattutto i più suggestionabili e immaturi, possono convincersi che la violenza non solo è accettabile ma anche un modo “macho” per risolvere i conflitti.
Che ruolo spetta alla scuola in tal senso?
A scuola si può fare molto, anche perché è il luogo di incontro di bambini e ragazzi di entrambi i sessi e di diversa provenienza sociale e culturale, ognuno con le proprie caratteristiche, interessi e diversità. La scuola se ben organizzata e ben gestita è una grande palestra di vita. Vi si possono svolgere molte attività e approfondimenti che facilitano la comprensione reciproca, che insegnano a dialogare, a collaborare, ad ascoltare, che inducono a riflettere su tanti diversi aspetti della vita civile, sui diritti e i doveri di ognuno, sul rispetto che ognuno deve avere per sé e per gli altri. A scuola si può anche insegnare a difendersi dalle manipolazioni e a smontare i pregiudizi.
Che cosa è la famiglia nel 2018?
Domanda difficile perché esistono diversi tipi di famiglie, caratterizzate da valori, stili educativi e di vita. Forse una caratteristica che accomuna le famiglie di questi anni è una maggiore riservatezza o isolamento rispetto al passato. La tv ha contribuito a questo fenomeno riducendo, con la sua pervasività e richiesta di attenzione, le occasioni di incontro sia degli adulti che dei bambini. I giochi all’aperto si sono notevolmente ridotti e con essi anche le opportunità di conoscersi e socializzare, quando invece è proprio grazie alle attività libere e spontanee che si impara a vivere insieme. Comunque da più parti si avverte l’esigenza di ricostruire o tenere viva una rete sociale, dove ci si possa incontrare, confrontare, dialogare e giocare, abbandonando la posizione passiva dello spettatore che può soltanto assistere ma non intervenire ed essere ascoltato.
La resilienza (alla quale lei ha dedicato un interessante saggio) o forza d’animo si può imparare?
Certamente si può imparare e il metodo più efficace è quello di crescere accanto a una o più persone resilienti. Gli astronauti per esempio, fisicamente sani e psicologicamente preparati, provengono da famiglie che, quando erano bambini sono riuscite a trasmettere loro sicurezza, stabilità emotiva e fiducia in se stessi. Ricorrendo a una metafora si può affermare che la resilienza è per la psiche ciò che il sistema immunitario è per il corpo, si tratta quindi di non perderla ma di mantenerla in efficienza nel corso della vita.
In questa nostra liquida società quali sono i suoi punti fermi?
La fedeltà ai valori fondamentali. I legami affettivi. La testardaggine.
Quello dei genitori è davvero il mestiere più difficile?
Penso sia più difficile fare il genitore oggi che cinquanta anni fa per le complessità che via via sono emerse, sia quelle legate alle nuove tecnologie, che quelle dovute al consumismo, all’eccesso di stimoli e sollecitazioni, alla diffusione delle droghe e anche, in generale, all’indebolirsi di un sistema di regole educative condivise. In cambio però disponiamo di maggiori conoscenze psicologiche e sappiamo che cosa può funzionare nei rapporti tra le persone, in ambito familiare, scolastico ed educativo.
Che rapporto ha con il mondo dei social network?
Cerco di utilizzarli per quello che mi servono e di non lasciarmi coinvolgere in attività dispersive o di tipo manipolativo. Un risvolto gradevole, per me, è la possibilità di tornare in contatto con i mei ex studenti e con persone che, abitando lontano, non avrei modo di raggiungere altrimenti. Attraverso una rubrica periodica “Gli anni della crescita” cerco di proporre tematiche che possono interessare gli insegnanti, i genitori, gli psicologi e gli educatori in genere e qualche volta di suscitare dei dibattiti su argomenti di attualità.
Che cosa porterebbe con sé su un eremo?
Un eremita.
Che cosa vuol fare da grande?
Scrivere racconti. Ho già cominciato.
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