E’ stato piacevole conversare con il noto scrittore Filippo Tuena, cui ho rivolto le ormai consuete dieci domande. Filippo Tuena è uno scrittore, romanziere e sceneggiatore teatrale romano, vincitore del Premio Grinzane Cavour nel 1999 per Tutti i sognatori, del Premio Bagutta nel 2006 per Le variazioni Reinach, e del Premio Viareggio nel 2007 per Ultimo parallelo. L’abbiamo intervistato per InLibertà.
Chi è Filippo Tuena?
Sono un signore ormai in età di pensionamento che ha studiato storia dell’arte, ha fatto l’antiquario e nel mezzo del cammin di sua vita, nel 1991 a 37 anni, ha deciso di scrivere e ha cominciato a pubblicare narrativa per passare poi a lavorare su un genere ibrido, cercando un connubio tra la storia, la documentazione e l’affabulazione. Ho moglie, figli e nipoti. Mi sono trasferito a Milano nel 1996, ma non ho abbandonato Roma. Vivo meglio a Milano. Roma mi serve per mantenere vivo rapporto col passato, personale e storico.
Scrittori si nasce o si diventa?
Credo che scrittori si nasca ma che il talento, se lo si possiede, vada esercitato. Non amo molto le scuole di scrittura che ho l’impressione tendano a uniformare uno stile preciso, accattivante, mediamente letterario ma spesso poco riconoscibile; mi piacerebbe che si sviluppassero piuttosto ‘scuole di lettura’ dove il rapporto con il testo sia analizzato in maniera critica e anche creativa. Sostengo da sempre che il lettore è un creativo al pari dello scrittore.
Hai affermato “Io sono i racconti che ho ascoltato da bambino”: ti raccontavano favole o altro?
Le storie mi hanno sempre affascinato. Quelle che mi raccontavano da bambino non erano tanto favole, quanto rielaborazioni di testi letterari. A quattro anni sapevo tutto sulla guerra di Troia, Ettore, Achille, Ulisse; il Cavallo di legno mi affascinava. Tutt’ora se mi capita di rileggere Omero o di vederlo recitato in adattamenti teatrali o televisivi o cinematografici provo la medesima emozione d’allora. Mi piaceva tanto una storia romana, quella di Androclo e il leone. Anche lì il pathos e l’emozione si facevano fortissimi quando il protagonista si trovava di fronte al leone che doveva sbranarlo nel circo e veniva riconosciuto dalla belva che tempo prima era stata curata proprio dall’uomo che era sul punto di sbranare. Una sorta di agnizione d’effetto drammatico notevole. Ovviamente il leone si accucciava e lo leccava riconoscente, ma c’era sempre la possibilità che una volta il racconto prendesse una piega diversa, così come mi aspettavo che i Troiani qualche volta sconfiggessero i Greci. A proposito di guerra, i racconti più belli e più drammatici erano certamente quelli legati alla giovinezza dei miei genitori. Ho dedicato un libro – Tutti i sognatori – a quei racconti e alla Roma sotto l’occupazione nazista.
Che peso ha la parola scritta in questo nostro mondo virtuale, sgrammaticato e fatto di storytelling?
Ho un profondo disturbo quando vedo la politica trasformarsi in spot; quando il linguaggio si fa banale, agonistico, sportivo. L’arte di governare non ha nulla a che fare con il ring. Vorrei una classe politica attenta alle necessità del cittadino, non interessata soltanto ad aumentare l’audience, a promettere mari e monti, a parlare per frasi fatte o, peggio, a gridare più forte del proprio avversario politico. Mi fa orrore questa banalizzazione di un’arte (sì, dico arte a proposito) che potrebbe essere sublime. La mediocrità dell’attuale linguaggio politico la ritrovo in gran parte dell’offerta televisiva. E, devo ammetterlo, anche i quotidiani si stanno uniformando a questo linguaggio basso. Per non parlare di internet a cui certamente vanno riconosciuti meriti ma che ha una sua parte di responsabilità nell’imperversare di quello che hai descritto come sgrammaticato storytelling.
Quali sono i tuoi fari letterari?
Omero l’ho già detto; i classici, Ovidio, Shakespeare, Moby-Dick, Guerra e pace. Tra i moderni Camus, Sebald, Junger. Tra gli italiani Bilenchi e Parise. Qualcuno ne dimentico certamente. Tra i poeti Pound, Eliot. Ma poi tanti e tanti che è difficile rispondere. Domani probabilmente farei altri nomi.
Che cosa pensi dei premi letterari, tu che ne hai vinti svariati?
I premi letterari è meglio vincerli che perderli. A parte questa battuta possono essere utili per farsi conoscere, per rimpinguare le scarse entrate delle vendite dei libri, per entrare in contatto con colleghi. Certo, vinci il Bagutta, il Viareggio, il Grinzane e leggi i nomi che ti hanno preceduto e un po’ t’imbarazzi. Ma al di là di questo non cambiano il destino di un libro o di un autore. Forse oggi neppure lo Strega modifica la vita di uno scrittore. Però il riconoscimento di una giura competente dà molta soddisfazione.
Letteratura e calcio: un binomio già amato da Saba e da Pasolini. E secondo Filippo Tuena?
Ecco, uno dei poeti che avrei potuto citare prima, Vittorio Sereni, era un grande tifoso dell’Inter. Anch’io sono stato tifoso, adesso guardo le partite in televisione perché mio figlio viene a vederle in casa ed è un’occasione d’incontro ma non frequento più lo stadio. Anni fa volevo creare una collana di libri dedicati alle squadre di calcio: scrittori che raccontavano le loro passioni Poi non se ne fece nulla. Ricordo che, da laziale, m’ero occupato del libro dedicato alla Lazio. Avevo contattato scrittori di primo piano, Cordelli, Piperno, Trevi, Zeichen, Montefoschi. Sarebbe stata una formazione d’altissimo livello. Il calcio è un bellissimo sport ma la pressione mediatica che lo sostiene sta per strozzarlo. Ovviamente non succederà mai, però un ridimensionamento non sarebbe sconveniente. Certo, un cross dall’ala e uno stacco di testa che indirizzi la palla all’angolino alto e un portiere che vola sin lassù per evitare il gol, è un balletto bellissimo e che, essendo stato portiere da ragazzo, ogni tanto ricordo con grande piacere.
Si dice spesso (anche troppo) che i giovani sono disavvezzi e disaffezionati alla lettura. Qual è il tuo giudizio al riguardo? Quali scrittori ritieni indispensabili per la formazione di un adolescente?
Internet ruba moltissimo tempo alla lettura e credo che bisognerà fare i conti col problema. Anch’io dedico moltissimo tempo al computer, però leggo moltissimo al computer. Dunque il problema sarà quello di abituarsi a considerare il libro non come l’unico mezzo di lettura. Probabilmente ci sarà una frantumazione dei testi, si andrà verso dimensioni ridotte, testi agili, verso una sintesi maggiore. Se così fosse non lo vedrei come un problema. Ogni tanto vado nelle scuole, incontro ragazzi interessati e ragazzi svogliati; credo sia sempre stato così. Quanto agli scrittori indispensabili, la scuola deve ovviamente preferire autori italiani; tra quelli molto letti nei licei preferisco Sciascia e Primo Levi a Calvino. Fuori dalla scuola, ripeto i nomi dei due autori e dei due libri che ho amato da ragazzo e che ancora rileggo: La Peste di Albert Camus e Guerra e pace di Tolstoi.
Che cosa porteresti con te su un eremo?
Le variazioni Goldberg e le Suites per violoncello di Bach; gli ultimi quartetti e le ultime sonate di Beethoven. Così fan tutte di Mozart. Poi una penna e dei fogli. Non leggerei, scriverei. Andrei a ricordare quel che mi è accaduto quando non vivevo nell’eremo e incontravo le persone. Sì, ricorderei.
Che cosa vuoi fare da grande?
Forse ho risposto qui sopra.
Grazie
L’ultima opera di Filippo Tuena è Com’è trascorsa la notte, Editore Il Saggiatore – Anno 2017 -Pag. 232
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