I fatti sono noti: la giudice del Distretto Centrale della California, Sheri Pym, ha firmato un’ordinanza in cui obbliga Apple a sbloccare l’iPhone appartenuto a Syed Rizwan Farook, il terrorista islamico autore della strage di San Bernardino.
Syed Farook, cittadino americano di 28 anni, musulmano, con la moglie, la ventisettenne Tashfeen Malik, entrarono in un centro per disabili e uccisero quattordici persone. La coppia aveva anche una bambina di sei mesi che il giorno della strage avevano lasciato in custodia dalla nonna.
La Apple protegge i suoi iPhone con sistemi di sicurezza così impenetrabili che nemmeno l’Fbi è riuscita a forzarli, e il rischio è che tutti i dati contenuti vengano immediatamente cancellati. La richiesta fatta dal giudice riguarda il singolo Iphone di Farook e quindi non dovrebbe provocare nessun danno al sistema della Apple. La risposta della società di Cupertino è stata comunque negativa asserendo che creare un sistema di sblocco per il singolo iPhone di Farook (una “backdoor”) renderebbe vulnerabili tutti gli iPhone del mondo, mettendo a rischio la privacy e la sicurezza dei suoi utenti.
La cosa sembra eccessiva perché potrebbe essere attuata segretamente all’interno dei laboratori della Apple.
Il problema sembra essere molto più complesso ovvero quanto sia possibile “invadere” la privacy dei cittadini, per motivi di “sicurezza nazionale”. Dopo l’approvazione del “Patriot Acts” le accuse al Governo di intrusione nella vita dei cittadini attuate dalla NSA (National Security Agency) ma soprattutto la gestione di queste informazioni, sono aumentate, creando un movimento sempre più numeroso di sostenitori della privacy.
La questione è nota. Si può consentire ai governi, un accesso privilegiato alle comunicazioni e ai “device” dei cittadini, attraverso una backdoor o con altri sistemi, che potrebbero rivelarsi utili nella lotta al terrorismo, e alla criminalità? Oppure ci esporrebbe a un controllo continuo ed invadente da parte di sistemi di controllo, di cui alla fine, proprio per la struttura stessa dei sistemi ci catalogazione dei dati, sviluppati ormai a livello mondiale il controllo riguarderebbe milioni di persone che nulla hanno a che vedere con specifiche inchieste?
Ma soprattutto qual è il limite del controllo? Oltre ai dati sensibili delle singole persone, possono essere controllati dati economici e sociali con il rischio come è già avvenuto, di una “intrusione”, che alla fine diventa un controllo anche sui sistemi economici e politici di un paese sull’altro.
Chi difende la privacy a tutti i costi viene additato come contrario alla lotta al crimine e al terrorismo, chi invece richiede la possibilità per l’intervento delle Autorità viene accusato di essere un antidemocratico, contrario alle libertà civili.
Il problema è che le grandi case come la Apple, Google, e altri fornitori si sistemi operativi, fanno accordi economicamente vantaggiosi anche con quei governi es. Russia e Cina che sono molto più “autoritari” nel campo del controllo dei flussi di dati.
In tutto il mondo due schieramenti si fronteggiano, tra richiesta di sicurezza e protezione della privacy.
La polemica della Apple, al di fuori del caso specifico, riaccende prepotentemente le luci sul problema, anche se in questo momento non sembra che i fautori della privacy siano favoriti nella discussione.
di Gianfranco Marullo
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