Non è facile dire cos’è la bellezza, ma credo possiamo essere tutti d’accordo nel considerarla una caratteristica della natura. A volte è difficile riconoscerla e sta a noi riuscire a scoprirla.
Alcune settimane fa ero affacciato al balcone e guardavo la strada. Era una domenica, la giornata era fresca e non c’erano rumori. A un tratto davanti agli occhi mi sono apparsi due uccelli bellissimi. Erano due ghiandaie in amore che si inseguivano volando da un balcone all’altro, da un albero all’altro, da un ramo all’altro. Era chiaro che erano pazzamente innamorati l’uno dell’altro. Uccelli pieni di grazia: visti dall’alto era possibile ammirare la bellezza, lo splendore del colore azzurro delle loro ali. In un gioco di brevi voli si allontanavano e si riavvicinavano senza mai perdersi di vista. Poi sono scomparsi oltre il tetto della casa.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di conoscere tante cose belle: il mare, la montagna, la campagna. Ma anche la pittura, la scultura, la musica. Cose meravigliose che mi hanno affascinato. Cose che hanno raggiunto il mio cuore parlando il linguaggio universale delle emozioni. Un linguaggio che arriva a noi senza fare uso delle parole. Se però vogliamo descriverle, queste bellezze, oppure se vogliamo raccontare a qualcuno le emozioni che ci hanno dato, allora dobbiamo necessariamente fare uso della parola e della lingua. E non c’è altra lingua che svolga questa funzione meglio della propria lingua madre.
La bellezza, in quanto caratteristica della natura, è presente anche nel linguaggio umano. Essa può trovare posto nei pensieri e nelle parole. I pensieri prendono forma attraverso le parole e queste diventano strumento di comprensione e comunicazione, di descrizione e conoscenza. Questo strumento, semplice e potente al tempo stesso, è usato quotidianamente da chi insegna. Per questo insegnare è uno dei mestieri più belli del mondo. Lo è ancora di più quando si insegna una lingua.
Prendiamo i genitori. Per legge naturale hanno il compito, nient’affatto facile né scontato, di crescere i propri figli insegnando loro tutto ciò che riguarda la vita, almeno fino a quando diventano grandi e indipendenti. Assolvono a questo compito con la parola. Con la parola trasmettono conoscenze, valori, cultura ai loro bambini fin da quando sono piccolissimi. Nel contempo gli insegnano la lingua. Non per caso la lingua che si apprende fin dalla nascita si chiama lingua madre. Per “par conditio” bisognerebbe aggiungere “padre”. Madre e padre sono la squadra formidabile che consente la propagazione della cultura e della lingua tra generazioni. L’essere genitori si manifesta e si concretizza nell’essere insegnanti e maestri. Maestri di vita.
Personalmente ho avuto anch’io questo privilegio. E l’ho fatto con una bambina che oggi è bilingue. Mia figlia infatti è nata in Germania ed è per rimanerle accanto che mi mi sono trasferito in questo paese. Il filosofo Cartesio ha detto “cogito, ergo sum”, frase che mi ha affascinato fin da quando ero un liceale e che oggi, da adulto che vive all’estero, nella mia mente (e nel mio cuore) si è trasformata in “loquor, ergo sum”. Perché io esisto veramente solo quando parlo. Quando parlo la mia lingua.
Lingua madre. Lingua di mia madre e di mio padre.
Lingua della mia infanzia, del gioco, della gioia, dello stupore.
Lingua di affetti e sentimenti, di speranze e sogni, di nostalgie e rimpianti.
Lingua di sospiri, di amori e di dolori. Lingua di vezzeggiativi.
Lingua del bel canto, di cultura e di poesia.
Lingua nobile e generosa, schietta e sincera.
Lingua dolce, gaia, allegra, leggera.
Lingua amata. Mia lingua.
La bella lingua italiana.
Post Scriptum: Che l’italiano sia la lingua più bella del mondo lo sanno bene i milioni di persone che la studiano e coltivano nei cinque continenti. Dal 17 al 23 ottobre, in Italia e all’estero, è stata celebrata la “Settimana della Lingua Italiana nel Mondo”, giunta alla XVI edizione. Questo articolo è il contributo del nostro giornale alla manifestazione.
Foto di Kreuzfahrt_Liebe da Pixabay
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