La Biennale di Venezia e la scoperta di una città

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Venezia è una città che non ha bisogno di presentazioni giacché carica della storia visibile in ogni suo angolo e dell’unicità di un centro che vive sull’acqua. Molti sapranno dei grandi eventi che la investono periodicamente: la Mostra del Cinema, la Biennale Musica, la Biennale Danza, la Biennale Teatro, la Biennale di Architettura e, quest’estate, la Biennale Arte.

La Biennale Arte è alla sua 60° edizione, iniziata nel 1895 con l’idea di ospitare talentuosi artisti internazionali fra firme ben note e nomi emergenti. Fin dagli esordi gli spazi dedicati alle esposizioni sono divisi fra le nazioni partecipanti: nella zona dei Giardini ogni edificio è dedicato a una singola nazione e al suo interno espongono artisti scelti da una commissione di quella provenienza. Lo stesso avviene negli antichi cantieri dell’Arsenale dove si percorrono numerose stanze ricche di meraviglie. Le nazioni che non hanno trovato posto né ai Giardini né all’Arsenale hanno la possibilità di avere comunque un proprio spazio in altri locali sparsi in tutta la città lagunare. Non solo, sono numerosissimi gli edifici, più o meno noti, che aprono le loro porte per ospitare artisti di tutto il mondo non strettamente legati a una realtà nazionale.

Ricapitolando: abbiamo i due centri principali, Giardini e Arsenale, i padiglioni esterni delle nazioni, gli “eventi collaterali” che ospitano un’altra variegata scelta di artisti. In più, rimangono attive fondazioni private, circoli, atelier e piccoli spazi espositivi non strettamente legati alla Biennale ma aperti in concomitanza con gli eventi ufficiali. E si noti che la maggior parte delle mostre sparpagliate per la città sono gratuite affinché la fruizione sia quanto più libera e diffusa; a differenza delle mostre sui musei stabili che invece mantengono il biglietto standard (salvo eventi particolari come l’Art Night del 22 giugno o le aperture gratuite dei musei civici ogni prima domenica del mese).

La Biennale 2024

Il titolo di quest’anno è Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere e i vari curatori hanno saputo interpretare questa proposta nei modi più disparati: letteralmente, con una riflessione sulle comunità migranti del nostro tempo; storicamente, con una ponderata riflessione sul proprio passato; in maniera introspettiva, con visioni di un sentirsi e percepirsi fuori dal sé; culturalmente, con incomprensioni fra popoli e società; in posizione ecologica, con l’uomo straniero nel mondo. Ampia voce è stata data ad artisti emarginati, o propri di gruppi sociali minoritari, o facenti parte di minoranze negli stati di provenienza. Così sono coinvolti artisti queer e delle comunità lgbtq+, autodidatti indigeni ancora lontani dalle grandi città, vari outsider non ancora recepiti dai mercati dell’arte contemporanea.

In ogni caso, le possibilità di espressione sono molteplici. Uno degli ostacoli per l’uomo comune nel comprendere l’arte contemporanea è la pluralità di metodi per esprimerla: dipinti, sculture, ma soprattutto installazioni, rielaborazioni, collage e video. La fruizione di un’opera avviene certamente tramite la vista ma spesso tramite l’udito, l’olfatto e in alcuni casi anche il tatto (più raro il gusto). Il modo in cui lo spettatore è più o meno coinvolto è esso stesso espressione dell’opera artistica. La riflessione che ne consegue, fra il comune <boh!?>, il sospiro velato di un’emozione di esterrefatta comprensione, o una lacrima di bellezza, è il fine ultimo della Biennale Arte: trasmettere qualcosa.

Venezia 2024

“Venezia non è Disneyland” è uno slogan usato per costituire l’isola come spazio cittadino vivibile e non solo come calamita per turisti. Tuttavia, camminando fra i padiglioni sospinti da una fanciullesca curiosità di ciò che verrà dopo e una voglia di ripassare nelle stanze appena lasciate, non si può fare a meno di chiedersi se Venezia non conservi quei tratti propri del parco divertimenti. Infatti, se non si dovesse percepire proprio niente di artistico, è comunque possibile giovarsi del sentimento di esclusività nel camminare fra palazzi anticamente abitati dalle famiglie più ricche della Serenissima, fra vecchi magazzini del porto, chiese non necessariamente sconsacrate, o anonime casupole sempre chiuse e aperte solo per questa occasione.

Per fare alcuni esempi: è possibile visitare l’elegante Palazzo Donà delle Rose sia per godersi le opere del Padiglione Camerun, sia per apprezzare la vista sulla laguna nord e l’isola di Murano. Poco distante è locato il bellissimo Palazzo Van Axel con le sue numerose decorazioni e i camini intarsiati che contornano l’esposizione dell’artista Shahzia Sikander. Un luogo precluso da anni e ora aperto a tutti è la sede dell’Ordine di Malta con i suoi palazzi rinascimentali e uno dei giardini privati più grandi e curati dell’isola, qui è possibile ammirare una retrospettiva di artisti coreani delle Biennali passate. Tornando verso Rialto abbiamo a poca distanza il Palazzo Mangilli Malvarana e Palazzo Bembo; il primo propone un legame ideale fra Bangkok e Venezia supportato da una video-installazione di Marina Abramovich, mentre il secondo è un’esposizione su due piani di diverse firme. In entrambi i casi si gode di una notevole vista sul Canale Grande e si cammina su corridoi capaci di ispirare emozioni e idee anche ai visitatori più integerrimi. Sempre sul Canal Grande si affacciano Palazzo Franchetti e Palazzo Contarini Polignac, uno di fronte all’altro affianco del ponte dell’Accademia. Il secondo è dedicato ad alcuni artisti ucraini (da non confondere con il Padiglione Ucraina ubicato all’Arsenale) e il primo ospita il Padiglione Portogallo, il notevole progetto cinema Your Ghost Are Mine e la commentata mostra Breast. Entrambi i palazzi sono bellissimi per gli interni decorati e i dettagli in ogni elemento d’arredamento, dalla tappezzeria ai candelabri. Sul Canal Grande si affaccia anche la sede dell’Università Ca’ Foscari, qui un’ala è disposta con opere di artisti sovietici prestate dall’Istituto delle Arti dell’Uzbekistan (e non è il Padiglione Uzbekistan che si trova all’Arsenale).

Non sono da disdegnare spazi meno nobili ma egualmente apprezzabili. I Magazzini del Sale e i Cantieri del Contemporaneo, uno di fronte all’altro sul Canale della Giudecca, sono spazi fuori dall’abituale giro e proprio per la loro natura spoglia si prestano ad essere rivestiti nelle maniere più interessanti. Ai Magazzini del Sale troviamo il Padiglione Armenia e un’esposizione delle opere di M.F. Husain, uno dei più importanti artisti indiani; mentre ai Cantieri del Contemporaneo, fra rimesse nautiche e centri riparazioni, abbiamo un excursus di opere di artisti portatori di disabilità fra protesta, ricordo e dolcezza. Uno spazio completamente inaspettato è il Complesso dell’Ospedaletto, una volta parte dell’ospedale SS. Giovanni e Paolo e adesso palco della mostra Nebula: un susseguirsi di stanze dove il video la fa da padrone ma con lo sfondo a tratti triste e a tratti conciliante che solo la struttura ospedaliera può comunicare. Carica di storia è anche la Scuola Grande della Misericordia: precedentemente sede della Camera del Lavoro, poi palestra e sede di una società di pallacanestro, infine auditorium e ora centro espositivo per le grandi opere di Zeng Fanzhi.

Numerose sono le piccole e grandi chiese che attualmente ospitano artisti e padiglioni: Chiesa di Santa Maria delle Penitenti (Padiglione Estonia), Chiesa di Sant’Antonin (Padiglione Lituania), Chiesa di San Giorgio, Chiesa dell’Abazia della Misericordia, Chiesa di San Lorenzo, Chiesa di San Fantin, Chiesa di San Gallo, Chiesa di Santa Maria della Visitazione, Chiesa di San Giovanni Evangelista, Chiesa di San Francesco della Vigna.

Vedere o non vedere la Biennale?

Gli amanti dell’arte e gli intenditori dovrebbero venire a vedere la Biennale poiché è una finestra sul mondo contemporaneo in tutti i sensi. È la proposta di tecniche e nomi che potrebbero avere la coronazione negli anni a venire nonché un consolidarsi di concetti che stanno perfezionando la loro forma nel nostro tempo. Non serve per forza capire ogni singola opera o la vita di ogni individuo per poterne apprezzare le espressività. Piuttosto, se si è artisti, si può carpire uno stralcio del modus operandi e posizionarsi di conseguenza in contiguità o in reazione.

Se non si è amanti dell’arte, la Biennale è uno spazio in più in cui vivere la città. Sfruttare le ore che si trascorrono nell’isola lagunare per allungare il proprio sguardo in luoghi per lo più chiusi o esclusivi, tenendo conto che molti di essi con l’occasione sono gratuiti.

Se non si è amanti dell’arte, né di Venezia, allora temo che la città abbia poco da offrire, a meno che non si prenda il vaporetto 6 che conduce al Lido e lì alle spiagge. A settembre mi trovate lì.

Foto di Michelle Raponi da Pixabay

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