Nell’antico Israele, molti proprietari terrieri, essendo di origini straniere, risiedevano all’estero e i campi in loro possesso venivano coltivati da gente del posto. Quando arrivava il momento del raccolto, il padrone di quelle terre inviava colà i suoi servi per ritirare tutto il dovuto. A volte, in tali circostanze, si verificavano vari conflitti, soprattutto a causa dell’abuso di potere e dello sfruttamento che i padroni esercitavano su quei contadini. Il racconto della parabola che il Vangelo di questa domenica vuole presentare alla nostra meditazione si inserisce in un contesto simile: un padrone pianta una vigna, la circonda con una siepe, vi scava un frantoio, vi edifica una torre e poi l’affida a dei vignaioli. Giunge il momento del raccolto e come di consueto manda i suoi servi a ritirarlo. Queste immagini narrate da Gesù descrivono appieno l’amore del padrone per la sua vigna. Ma accade qualcosa di imprevisto: i vignaioli, infatti, usano violenza sui servi inviati dal padrone a ritirare il raccolto. Una reazione illogica questa, se pensiamo che il padrone, una volta informato sulla triste vicenda, prenderà qualche serio provvedimento. È illogica pure la reazione del padrone che, in un primo momento, nonostante la violenza, invia colà altri servi e più tardi il suo stesso figlio che quindi verrà ucciso. È la logica di Dio questa, dettata solo dall’amore verso quei crudeli vignaioli. A questo punto Gesù pone ai presenti una domanda: “Ma secondo voi, che cosa farà il padrone della vigna a quei vignaioli”. E questi naturalmente rispondono con parole di condanna. Dalla narrazione della parabola è chiaro che Gesù si rivolga direttamente ai membri del popolo di Israele che da esperti conoscitori dell’Antica Alleanza avevano bene in mente le antiche parole di Isaia: “La vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita” (Is 5,1). E gli Israeliti erano fieri di esserlo! Ecco il messaggio che ricaviamo dal racconto della parabola: il padrone della vigna è Dio; Egli ama infinitamente il suo popolo che è la vigna e il figlio inviato dal padrone è Gesù stesso. Ma ciò che tiene a sottolineare l’evangelista Matteo è l’amore del Padre che si traduce in gesti concreti: pianta, scava, costruisce ed infine, affida. Successivamente manda sulla terra ciò che Egli ha di più caro, di più prezioso, il suo figlio Gesù, venuto nel mondo in nome dell’amore per consegnare all’uomo una vita piena e nuova. Ma Cristo venne rifiutato da quei cattivi vignaioli ed in mezzo a questi operai ingrati, forse, ci siamo anche noi, soprattutto quando non facciamo entrare Dio nella nostra vita. L’orizzonte della fede viene completamente alterato, quasi oscurato e, quindi, diventiamo ciechi. Infatti, non vediamo più l’amore che è attorno a noi; non ci accorgiamo della bontà di chi ci aiuta, di chi ci sostiene; non consideriamo abbastanza il bello che ci circonda e che inaspettatamente è lì pronto a dipingere di gioia ogni nostra giornata. La vigna, invece, è la mia esistenza, sono io stesso. Il padrone, Dio, ha fatto tutto bene con me ed Egli continua a mostrarsi a noi come un Padre che non costringe, che non forza e che non toglie affatto la libertà. Ci invita, ci esorta ad accogliere liberamente il suo amore e mai ci costringe. Nello stesso tempo ci incoraggia a diffondere responsabilmente gli ideali del suo Regno, altrimenti: “A voi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato ad un popolo che ne produca i frutti” (Mt 21,43). È un forte monito che fa pensare alla grande responsabilità di coloro che, nel corso del tempo e della storia, sono chiamati a lavorare seriamente nella vigna del Signore. Il Regno di Dio non ha capi di Stato, non possiede eserciti, non gode di un’economia, non rispetta alcuno statuto perché la sua unica legge è l’Amore. E S. Paolo, nella seconda lettura, ci svela chiaramente gli ideali del Regno. Egli ci esorta: “Fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!” (Fil 4, 6-9). Su Cristo, dunque, “Pietra d’angolo” della nostra vigna possiamo poggiare con certezza la nostra esistenza. Questo, infatti, è un altro messaggio che possiamo ricavare dal racconto della nostra parabola. È suggestiva, a proposito, la descrizione del campo dettata da Sant’Agostino: “Dio ci coltiva come un campo per renderci migliori” (Sermo 87). Quanto è vero! Dio, per i suoi amici, ha solo progetti di bene; purtroppo la risposta dell’uomo spesso è orientata all’infedeltà, che si traduce, infine, in un netto rifiuto. Quante volte l’orgoglio e l’egoismo ci hanno impedito di riconoscere la presenza reale di Gesù nella nostra vita? Eppure Dio, attraverso il dono inestimabile dell’Eucarestia, consegna se stesso nelle nostre mani accettando perfino di farsi debolezza. Rimaniamo in Cristo come il tralcio alla vite. Egli è sempre vicino a noi, opera nella storia dell’umanità anche attraverso i suoi Angeli, che oggi la Chiesa venera come “Custodi” cioè, ministri della divina premura per ogni uomo. Dalla nascita fino alla morte, l’uomo è sempre circondato e gode della loro incessante protezione. Questi esseri beati fanno corona alla Vergine Maria, che oggi vogliamo venerare come Augusta Regina delle Vittorie e Beata Vergine del Rosario. Anche noi ci uniamo spiritualmente al tempio di Pompei per elevarLe la fervida Supplica, affinché sia sconfitto il male e si riveli, in pienezza per ogni uomo, la bontà di Dio, strumento efficace di un Padre tenerissimo che ancora oggi vuole redimere il peccato dell’umanità.
Frà Frisina
foto: wikimedia.org
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