Dal 24/25 febbraio – data in cui si è consumata la tornata elettorale che ha sancito la vittoria mutilata del Pd, la resurrezione del Pdl e il «boom» di Grillo (questo sì, l’ha sentito anche il Quirinale) – l’impasse che cinge la rinascita del nostro Paese ha suscitato forte scoramento tra coloro i quali si erano anche solo lontanamente illusi che, con il voto, avrebbe avuto inizio una nuova fase: di crescita, di giustizia sociale, di perequazione delle risorse.
L’incipiente legislatura sembra non poter nulla in merito ai problemi che ci avevano costretto al governo tecnico poco più d’un anno fa: le forze politiche, impersonate dalla congerie dei gruppi parlamentari, sono smodatamente parcellizzate e si chiudono in posizioni solipsistiche, nonché riluttanti al confronto; il Presidente della Repubblica, in scadenza di mandato, è spogliato dalla prerogativa di sciogliere le Camere e si arrampica, per quel che può, al tentativo, piuttosto desueto, di istituire due commissioni – la prima con competenze economico-sociali, la seconda di caratura istituzionale – nell’arduo tentativo di sbrogliare la matassa che gli ha rifilato la legge elettorale; dulcis in fundo, il governo Monti, che pure rappresenta il vero sconfitto dell’ultima tornata elettorale, è ancora competente per gli affari correnti ancorché si ostini a dilazionare impegni improrogabili come quello relativo allo sblocco dei quaranta miliardi destinati alle imprese fornitrici della pubblica amministrazione.
Nel mezzo del marasma politico-istituzionale, alcune questioni irrisolte vanno prese in esame con rapidità e zelo. Per prima, la riforma dei costi della politica, che può essere affrontata partendo da un disegno di legge discusso da commissioni eterogenee; va considerata preminente la riforma del sistema elettorale, dimostratosi inefficiente e incapace di concedere un’equa governabilità; inoltre, toccherebbe porre l’accento su deburocratizzazione e informatizzazione degli apparati della pubblica amministrazione.
In chiusura, l’elezione del Presidente della Repubblica implica la convocazione del Parlamento in seduta comune – organo che, integrato dai delegati regionali, sarà presieduto da Laura Boldrini – a partire dal 15 aprile. Le parti dovranno accordarsi per una personalità al di fuori dai ranghi, che possa quindi godere del consenso trasversale di Pd e Pdl, cosicché l’eventuale veto ostruzionistico delle Cinque Stelle perda, in partenza, efficacia. Sarà, comunque, molto difficile pensare che l’elezione possa avvenire in seguito ai primi tre scrutini, per cui è richiesta la maggioranza dei 2/3 dei componenti l’assemblea; dalla quarta votazione, la maggioranza assoluta necessaria potrebbe essere più facilmente raggiunta con la connivenza dei voti di Scelta Civica.
di Andrea Capati
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