Gli eventi che hanno portato alla morte dell’ambasciatore statunitense in Libia, Christopher Stevens (foto), dimostrano come non basti distruggere fisicamente un dittatore per far sì che la democrazia attecchisca anche in Paesi che non hanno mai lontanamente avuto governi liberali.
Fino a quando il popolo libico non sarà economicamente stabile e culturalmente preparato non deve sorprendere che avvengano episodi come l’attacco all’ambasciata americana. Non è un caso che le rivolte si siano spostate dalla Libia ad altri Paesi che hanno recentemente avviato una svolta democratica. E’ evidente come gli autori dell’omicidio di Stevens abbiano approfittato della disinformazione della popolazione per aizzare la folla contro l’occidente e sfruttare i disordini per colpire in silenzio.
Le manifestazioni di violenza nate per protestare contro “The Innocence of Muslims”, il film americano che non dà una bella immagine di Maometto, sono quasi certamente nate dalle iniziative dei gruppi armati legati al defunto Gheddafi o comunque a gruppi anti-occidentali. Il film contro il Profeta dell’Islam non sarebbe stata una scusa credibile per un tale sfogo di violenza della popolazione se quest’ultima avesse avuto la sicurezza economica, primo passo per poter poi essere istruita. La povertà e l’oscurantismo, hanno permesso agli assassini di Stevens di poter agire indisturbati. La colpa di tutto ciò è anche dei Paesi occidentali, che hanno pensato che bastasse uccidere il Rais perché la Libia diventasse uno stato democratico e libero dalle influenze del fondamentalismo.
La tesi dei disordini organizzati è stata accettata anche dai vertici USA. “La protesta del Cairo – si legge sul New York Times, che riporta le confidenze di una fonte interna al governo americano – sembra una mobilitazione spontanea contro il video anti-Islam prodotto dagli Usa. Al contrario, le persone che hanno attaccato l’ambasciata a Bengasi erano armati con mortai e granate. Alcune indicazioni suggeriscono che un gruppo organizzato abbia atteso l’opportunità delle proteste per attaccare, oppure che forse le abbia addirittura generate per coprire l’attacco”. L’omicidio dell’ambasciatore americano sarebbe infatti “la risposta all’uccisione di Abu Yaya al-Libi, numero due di Al-Qaeda”, colpito da un drone in Pakistan nel giugno scorso.
Il premier americano Barack Obama dal canto suo è stato costretto, se non vuole perdere la corsa alla presidenza per il 2012, a reagire in modo duro e fermo all’attacco. Obama ha promesso che “sarà fatta giustizia” e ha infatti inviato due navi “come misura precauzionale” davanti le coste libiche.
Scriveva qualche giorno fa su Facebook l’inviato di Canale 5 Toni Capuozzo: “Quello che è successo a Bengasi testimonia del fallimento dell’idea che la democrazia possa essere esportata con i bombardamenti. Conferma che tante banalità illusorie sono state scritte sulle primavere arabe. Senza nostalgia per il passato, senza simpatia per film stupidi, senza facile ottimismo sul futuro” mentre la polemica sul film anti-islam arriva anche in Europa.
Matteo Testa
foto: notizie.guidone.it
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